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Sanità in Puglia, Piemontese: «Più infermieri e meno burocrazia» – L’INTERVISTA

Infermieri incaricati di comunicare con pazienti e familiari in pronto soccorso, tempi di risposta più rapidi alle prenotazioni di visite ed esami diagnostici, forte accelerazione sugli ospedali da realizzare e, soprattutto, sulle opere inserite nel Pnrr. Senza dimenticare il taglio della burocrazia e il pressing sul governo Meloni affinché investa maggiori risorse nella sanità pubblica.…
Raffaele Piemontese è il vicepresidente della Regione Puglia e, da pochi giorni, il nuovo assessore regionale alla Sanità dopo essere stato per lungo tempo delegato al Bilancio

Infermieri incaricati di comunicare con pazienti e familiari in pronto soccorso, tempi di risposta più rapidi alle prenotazioni di visite ed esami diagnostici, forte accelerazione sugli ospedali da realizzare e, soprattutto, sulle opere inserite nel Pnrr. Senza dimenticare il taglio della burocrazia e il pressing sul governo Meloni affinché investa maggiori risorse nella sanità pubblica. Raffaele Piemontese, vicepresidente della Puglia e neo-assessore regionale alla Sanità, indica le priorità da affrontare in quest’ultimo anno di mandato.

Assessore, la sua nomina cade in un periodo in cui la sanità è al centro del dibattito locale e nazionale: la attende un compito tutt’altro che facile non trova?

«Sono consapevole del difficile compito che mi attende, ma la sanità pugliese ha ampi margini di miglioramento. E, in questa prospettiva, voglio dare tutto me stesso mettendo le persone che soffrono al centro del sistema assistenziale».

Finora non è stato così?

«Dall’esterno può sembrare che la sanità curi più se stessa che i pazienti. E questo è frutto di una impostazione burocratica che rischia di paralizzare l’assistenza e di impedire la risoluzione dei problemi. Si è visto a proposito degli anticorpi monoclonali contro la bronchiolite: se la Puglia non avesse dimostrato tutto il pragmatismo di cui è capace, quei farmaci indispensabili per la salute dei nostri bambini sarebbero arrivati con molti mesi di ritardo. Oltre a non farci imbrigliare dalla burocrazia, poi, dobbiamo lavorare di più e migliorare i percorsi organizzativi».

Partiamo dal primo problema: le liste d’attesa. Come pensa di affrontarlo?

«Proprio migliorando i percorsi organizzativi. Penso alle prenotazioni di visite ed esami medici urgenti: dobbiamo avere un back office, cioè un impiegato che le riceve, le prende in carico, verifica la presenza di strutture pubbliche o accreditate abilitate a fornire quella prestazione e raggiungibili in 45 minuti al massimo e, alla fine, dà una risposta al paziente nel giro di una settimana e non di mesi. Se poi le richieste dovessero rivelarsi inappropriate o non urgenti, saranno i distretti sanitari ad accertarlo e a disporre le sanzioni del caso».

Altro problema sono i pronto soccorso, sempre più spesso teatro di violenze ai danni degli operatori sanitari: qui la Regione può incidere?

«Qui scontiamo un problema generalizzato, cioè la carenza di medici specializzati nell’emergenza-urgenza. Ogni anno, in Italia, su 1.200 specializzandi soltanto 350 optano per l’emergenza-urgenza. Questo vuol dire che il pronto soccorso non è attrattivo, vuoi perché si è sottoposti a turni massacranti vuoi perché non si possono effettuare prestazioni private. Quindi bisogna rendere attrattivo il pronto soccorso facendo sì che i medici impegnati in quell’ambito guadagnino almeno il doppio».

Ma su questo la Regione può soltanto fare pressing sul Governo centrale…

«Ed è quello che faremo. Il Governo centrale deve destinare al Fondo sanitario nazionale almeno il 7% del prodotto interno lordo. Adesso siamo al 6,05%, in diminuzione rispetto al passato. Se si continua a tagliare, le ripercussioni negative saranno inevitabili. E poi bisogna cambiare i criteri di riparto delle risorse che, ispirandosi ancora alla spesa storica, penalizzano ancora le Regioni del Sud. Se poi l’autonomia differenziata dovesse diventare realtà, allora l’Italia finirebbe per spaccarsi in due: disponendo i maggiori risorse, il Veneto e le altre Regioni del Nord potrebbero pagare i medici molto di più rispetto a quelle del Sud. E per la sanità pubblica meridionale sarebbe la mazzata definitiva».

In pronto soccorso c’è anche un problema di sicurezza del personale, però…

«La vigilanza c’è e il suo rafforzamento spetta al Viminale. Io, però, voglio che in ogni pronto soccorso ci sia un infermiere di processo, cioè una figura esperta che accoglie i parenti del paziente, li informa durante l’attesa, garantisce aggiornamenti sul percorso clinico, chiarisce i dubbi. Nella Bat abbiamo sperimentato questa figura con risultati incoraggianti».

Intanto c’è da recuperare il ritardo accumulato nella costruzione degli ospedali e, soprattutto, delle case di comunità previste dal Pnrr: riuscirete a rispettare le scadenze, a cominciare da quella del 2026?

«Quanto al Pnrr, faremo il massimo per concludere le opere entro le scadenze previste. Quanto agli ospedali sono altrettanto fiducioso: su quello di Monopoli-Fasano abbiamo recentemente ricevuto riscontri positivi dal Ministero, così come per quello di Andria l’incontro con i comitati ha dato buoni frutti. Ma per migliorare la sanità servono non solo le infrastrutture, ma anche e soprattutto il personale».
Altro nodo è quello dei direttori generali delle Asl che hanno sforato il tetto della spesa farmaceutica. Per

Azione sono da considerare i decaduti, lei come gestirà la questione?

«I dg hanno affrontato il contraddittorio e fornito controdeduzioni nell’ambito del procedimento aperto dalla Regione a loro carico. Ora il Dipartimento competente sta stilando un’istruttoria che sarà poi sottoposta alla Giunta per la decisione finale. Premesso che ci atterremo alle risultanze di quell’istruttoria, ricordo che la Regione ha abbassato il livello della spesa farmaceutica e che in tutte le Regioni italiane si supera il limite stabilito per gli acquisti diretti di medicinali. Quindi sì, le direzioni strategiche devono fare di più e meglio, ma l’obiettivo principale dev’essere la cura dei pazienti».

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