Com’è triste quel crocifisso su quelle lamiere. Com’è blasfemo metterlo in quella stanza, di quella nave. Un crocifisso asettico, indolore un po’ come l’ovatta imbevuta di disinfettante che il boia usa per iniettare la soluzione per i condannati a morte. Com’è finale quella collocazione di quel cristo (in minuscolo, perché di quello in maiuscolo mi soffermo dopo). Non vi è nulla di provvisorio.
Dove per provvisorio alludo alla collocazione provvisoria di quel Cristo di cui ci parlava don Tonino. Sono andato a riprenderlo, a distanza di un braccio: “Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo”.
E quel Cristo di terracotta oggi è in fondo al mare e lì – anche lì – pietra di scarto. Non c’è tema più divisivo della carne di quei poveri cristi. Il biondo d’America scala i sondaggi se parla di deportazione. Che dite? Le zone interne dimenticate, la rabbia degli esclusi, la globalizzazione andate a male? Non ci credo. C’è ben altro che tocca le corde interne, quelle dove Conrad disegnava la linea d’ombra. È qualcosa di potente e di profondo a cui non so dare un nome. Eppure è qualcosa di antico, di ferocemente perenne. Restando sul fondo del mare, specie a queste latitudini, gli scafisti si ricercano come in una oscena moscacieca; peccato che si ometta di parlare della Guardia costiera libica della mano lorda di un sanguinario come Erdogan a cui l’Europa ha deciso di esternalizzare i confini orientali e balcanici dell’Europa.
Quest’ultima è morta lì, non altrove. È morta quando Orsola si è congratulata per il buon lavoro fatto dai sicari: qualche mese dopo aver pianto David Sassoli che dell’Europa – ma anche della politica – aveva ben altra visione. Com’è triste quel crocifisso su quelle lamiere, com’è inodore. Com’è ordinato e ordinante: un sigillo sul buon lavoro fatto, una cravatta sul vestito buono per dare rispetto al contesto e a chi lo indossa.
Bentornato,
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