«Sabotare la nomina di Raffaele Fitto a commissario europeo non farebbe bene all’Italia e al Sud, ma nemmeno all’Unione»: non ha dubbi Gaetano Quagliariello, dean della School of government della Luiss “Guido Carli” di Roma, con un passato da senatore e ministro per le Riforme.
Senatore, qualcuno vuole sabotare la nomina del ministro Fitto a membro della commissione di Bruxelles: cosa ne pensa?
«Sarebbe un’operazione miope che non farebbe bene all’Italia e al Sud, ma nemmeno all’Europa».
Perché?
«L’Europa vive una fase difficile con Francia e Germania, storicamente architrave dell’Unione, protagoniste di una crisi non passeggera ma di sistema. In più, Mario Draghi ricorda come restare nel guado non serva: o si accelera o il declino sarà irrimediabile. Pensare di aprire un fronte con l’Italia, oggi Paese con maggiore stabilità politica, significa aggravare le difficoltà strutturali dell’Unione. Quindi è una strategia miope. Ed è paradossale che a perseguirla siano forze che si professano europeiste».
Miope anche per Italia e Sud?
«Certo. Se l’obiettivo dell’Europa è dividere l’area sovranista italiana della destra e cooptarne l’area moderata, così da arginare gli estremismi, affossare Fitto è un’operazione miope. E lo è anche per il Sud al quale serve un punto di riferimento che guardi al Pnrr e al bilancio con un occhio ai fondi complementari. Anche perché la crisi della Germania fa rallentare l’Europa ma, nello stesso tempo, restituisce una centralità al Mediterraneo in cui il Sud è strategico. Bisogna approfittare di questa contingenza. In questo senso Fitto è necessario ma non sufficiente: serve una strategia per il Sud».
Cioè?
«Oggi il Sud è l’area economicamente più promettente, ma necessita di una strategia sussidiaria. Nel senso che lo Stato deve aiutarlo a superare le difficoltà – per esempio in tema di dispersione scolastica, internazionalizzazione dell’istruzione superiore, occupazione giovanile e femminile, gestione della terza età – e a cogliere le opportunità».
L’Autonomia va nel senso da lei auspicato oppure contro?
«Non sono contrario all’Autonomia, purché non sia uno sparo nel buio. È vero che la norma spiegherà i propri effetti solo quando saranno stati approvati i Lep, ma ravviso almeno tre problemi».
Quali?
«Va rivisto l’elenco delle 23 materie per le quali si può chiedere l’autonomia. Prendiamo l’energia: non ha molto senso gestirla a livello nazionale, figuriamoci a livello regionale. Poi va fissato un limite alle materie: se una Regione è forte nel settore X e un’altra nel settore Y, si possono instaurare sinergie dando vita a un’autonomia differenziata ma solidale; altrimenti si ottengono autonomie speciali e si by-passa il dettato costituzionale. Infine, serve una norma che, in determinati casi, consenta allo Stato di intervenire».
L’Autonomia può rafforzare il protagonismo dei governatori: terzo mandato per Emiliano in Puglia e De Luca in Campania?
«De Luca pone un problema al centrosinistra: Schlein deve scegliere se accettare il terzo mandato del presidente campano e vincere oppure non accettarlo e correre il rischio di perdere. Vedremo come andrà a finire. In Puglia, invece, Emiliano sembra aver accettato il ruolo di padre nobile: accompagnerà il ricambio generazionale nella sua coalizione. Lo “scarso impegno” di Decaro in Europa, d’altra parte, lascia pensare che sarà lui il candidato del centrosinistra alle regionali pugliesi».
Il centro si riorganizza: quest’area ha un futuro?
«Come terzo polo, il centro si è suicidato: il 9% raggiunto alle elezioni del 2022 poteva essere un trampolino di lancio, invece non è stato altro che raschiare il fondo del barile. E questo anche per scelte sbagliate dei leader. Ma un centro nel centrosinistra nascerà, anche a prescindere da Renzi e Calenda, perché in Italia esiste quella sensibilità. E il centro, inteso come area politica, potrà essere determinante perché capace di agire sugli elettori indecisi».
E il campo largo ha un futuro?
«Può averlo in un sistema bipolare, ma le forze che lo compongono dovrebbero arrivarci con una proposta di governo che ora mi sembra lontana. L’alternativa è derivare la vittoria dagli errori degli avversari: è una prospettiva più concreta, ma dopo aver vinto bisogna governare e i nodi vengono sempre al pettine».
Chiudiamo con la destra: in Italia vince, ma in Puglia perde da vent’anni. Perché?
«È un caso di studio. Un tempo, la Puglia era il baluardo del centrodestra, oggi è una regione “rossa a prescindere”. Il problema è che qui il centrodestra ha rinunciato a costruire una classe dirigente e alla fine si è spento».
Di chi è la colpa?
«Ai miei studenti dico sempre di cercare le cause prima delle responsabilità».