Che la prossima manovra finanziaria sarà un sentiero stretto per il governo Meloni, era chiaro e da queste colonne lo avevamo puntualmente spiegato. Ma c’è modo e modo di affrontare un percorso che nell’arco di sette anni, d’intesa con l’Unione europea, dovrà portare a una significativa riduzione del rapporto tra debito e pil. E il modo peggiore è uno: tagliare gli investimenti, cioè rinunciare a quelle spese destinate a essere ripagate in un futuro più o meno lontano. Quello che l’Europa chiede all’Italia, d’altra parte, è di ridurre il debito in relazione al pil: obiettivo che può essere centrato abbattendo drasticamente il primo oppure facendo aumentare progressivamente il secondo. E quest’ultima soluzione non può prescindere dalla conferma degli investimenti.
Qualche esempio? Gli incentivi che consentono alle donne di lavorare e la costruzioni di asili nido. Un aumento del 10% della forza lavoro attraverso l’incremento dell’occupazione femminile, infatti, farebbe impennare il pil nella stessa misura nel lungo periodo, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. Ma per centrare l’obiettivo bisogna eliminare la “child penalty” nei tassi di ingresso e uscita dal mondo del lavoro in modo tale da far lievitare il tasso di occupazione femminile del 6,5% entro il 2040. Il che presuppone gli investimenti ai quali abbiamo accennato.
Allo stesso modo, non si può rinunciare agli investimenti in tema di mobilità, lotta al dissesto idrogeologico ed edilizia scolastica: altrimenti la spesa viene ridotta nell’immediato, ma in concreto è soltanto rimandata. Francesco Giavazzi l’ha spiegato da par suo sulle colonne del “Corriere della Sera”, citando l’esempio della Germania. Tra il 2000 e il 2019, cioè negli anni del governo Merkel, Berlino ha ridotto gli investimenti pubblici e privati di due punti di pil. In particolare, tra 2018 e 2022, si è registrato un crollo degli investimenti pubblici che sono arrivati al 2,7%, valore pressoché identico a quello dell’Italia e inferiore al 4 di Francia e Stati Uniti e al 5 della Svezia. Non finisce qui: dopo la crisi del 2008-2009, la Germania ha imposto il limite dello 0,35% al debito pubblico federale e il pareggio ai bilanci dei Lander. Il risultato è presto detto: il debito tedesco è diminuito sensibilmente, ma molti ponti e strade non sono stati riparati o ricostruiti con la conseguenza che certe spese sono state cancellate nell’immediato, con una sorta di “trucco contabile”, ma sono destinate a ripresentarsi nel corso dei prossimi anni.
Qual è, dunque, la morale della favola? Il ministro Giancarlo Giorgetti ha ragione nel resistere alla tentazione di abbassare l’età pensionabile, misura troppo spesso preferita a investimenti strategici come quelli per il lavoro femminile e la protezione del territorio, ma sbaglia quando fa sapere di voler tagliare spese che possono contribuire all’aumento del pil e, per questa stessa strada, alla riduzione del rapporto debito/pil chiesta dall’Unione europea. Insomma, è giusto adottare misure per il risanamento dei conti pubblici, purché si continui a investire in istruzione, capitale umano e produttività: altrimenti le spese alle quali si rinuncia oggi si ripresenteranno domani, probabilmente con gli interessi e soprattutto senza che il pil sia cresciuto nemmeno di un centesimo di punto. E questo è un prezzo che l’Italia, a cominciare dal Mezzogiorno, non può permettersi di pagare.
Bentornato,
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