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Procedure più snelle per favorire l’ingresso di migranti per lavoro

Basteranno i correttivi introdotti dal governo Meloni, attraverso il recente decreto Immigrazione, a soddisfare le esigenze di manodopera manifestate dalle imprese? La questione è cruciale non solo per lo sviluppo economico del Paese, a cominciare da quello del Sud, ma anche per garantire la tenuta del sistema pensionistico. E con ogni probabilità, per essere risolta, impone l’adeguamento – e non il definitivo superamento – delle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini che attualmente disciplinano la materia migratoria.

Perché, piaccia o meno, l’età media più bassa e il tasso di natalità più alto fanno degli immigrati una componente essenziale per il nostro Paese. Per comprenderlo basta analizzare i numeri. Proiezioni Eurostat alla mano, di qui al 2070 la popolazione over 65 aumenterà dal 24 al 33,6% del totale e, nello stesso lasso di tempo, quella in età lavorativa diminuirà dal 63,5 al 55,5%, con ripercussioni notevoli sulla tenuta dell’economia.

In particolare sul sistema pensionistico, la cui sostenibilità può essere garantita soltanto allargando la base contributiva, cioè incrementando il numero di contribuenti e l’importo medio delle loro retribuzioni. In questa prospettiva, gli stranieri sono indispensabili, visto che la loro età media è di 35,7 anni rispetto ai 46,9 degli italiani e il loro tasso di natalità è pari a 10,4 nati ogni mille abitanti rispetto ai soli 6,3 fatti segnare dai nostri connazionali. Non solo: come hanno opportunamente rilevato Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin, ricercatori della Fondazione Leone Moressa che il prossimo 16 ottobre presenterà il suo 14esimo rapporto annuale nella sede del Ministero dell’Interno, i 2,37 milioni di stranieri che lavorano in Italia generano oltre 164 miliardi di pil, pari a poco meno del 9% del totale; in più, nonostante la differenza di reddito rispetto agli italiani, gli stranieri offrono un saldo positivo tra i benefici, cioè tasse e contributi versati, e i costi, cioè welfare e assegni pensionistici.

Questi dati potrebbero essere persino migliori se i meccanismi di ingresso dei migranti da lavoro in Italia fossero adeguati alle reali esigenze delle imprese. Le leggi vigenti, infatti, prevedono che gli stranieri possano entrare nel nostro Paese sulla base delle domande presentate dai datori di lavoro e, quindi, di un precedente accordo di assunzione. Sennonché, nel 2023, meno di un quarto degli stranieri che hanno ottenuto il visto per motivi di lavoro è stato effettivamente assunto. Il motivo? Tra la presentazione della domanda da parte del datore di lavoro e il rilascio del nulla osta passano spesso diversi mesi, durante i quali le aziende spesso chiudono o vedono mutare le proprie esigenze. Col risultato che gli stranieri, nel frattempo giunti in Italia, vi rimangono da irregolari.

Questo meccanismo è consacrato nel cosiddetto decreto Flussi, attraverso il quale il Governo fissa il numero dei migranti da lavoro che possono entrare nel territorio nazionale in un dato periodo. Per il 2023-2025, per esempio, il decreto prevedeva 452mila ingressi, soglia che è stata successivamente innalzata per venire incontro alle maggiori esigenze delle imprese. Secondo il recente bollettino diffuso da Unioncamere-Anpal, d’altro canto, tra il 2024 e il 2028 il fabbisogno delle aziende italiane sarà addirittura di tre milioni di lavoratori, di cui almeno 640mila stranieri. La necessità di superare i meccanismi fissati dalla Turco-Napolitano prima e dalla Bossi-Fini poi, dunque, è tutta nelle statistiche. Non solo per quanto riguarda il numero di ingressi di migranti consentiti, come il governo Meloni ha già dimostrato di avere già compreso, ma soprattutto sotto il profilo dello snellimento e della velocizzazione dell’iter che dovrebbe portare un migrante a prestare servizio per un’impresa italiana. Il che vuol dire predisporre strumenti normativi e procedure finalmente più efficienti: lo chiedono non solo le aziende, spesso a corto di personale, ma un intero sistema sociale che ha bisogno di rigenerarsi per affrontare le complesse sfide che lo attendono in futuro.

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