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Crediti di imposta inesistenti e non spettanti, la giurisprudenza in cerca di definizione

Il tema dell’indebita compensazione mediante l’utilizzo di crediti di imposta non spettanti e/o inesistenti interessa da anni il panorama tributario e penale nazionale ed è stato oggetto di interventi anche da parte del Legislatore. È noto come, da un lato, le autorità fiscali tendano a verificare con frequenza se la condotta dei contribuenti che utilizzano…

Il tema dell’indebita compensazione mediante l’utilizzo di crediti di imposta non spettanti e/o inesistenti interessa da anni il panorama tributario e penale nazionale ed è stato oggetto di interventi anche da parte del Legislatore. È noto come, da un lato, le autorità fiscali tendano a verificare con frequenza se la condotta dei contribuenti che utilizzano crediti in compensazione possa ritenersi o meno legittima (soprattutto in considerazione delle incertezze circa le condizioni per ritenere un credito non spettante o inesistente); dall’altro, è stato argomento di grande dibattito anche l’individuazione del dies a quo per la decorrenza dei termini di accertamento nei casi di indebita compensazione.

I profili

Sotto il primo profilo, prima del recente intervento di riforma, si sono registrate notevoli perplessità pratiche e importanti divergenze sul trattamento sanzionatorio, tanto che la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Queste, con sentenza n 34419/2023, hanno individuato la categoria dei crediti inesistenti di cui all’articolo 13 del d.lgs. 471/1997 in quelli che, da un lato, rappresentano, in tutto o in parte, il risultato di una artificiosa rappresentazione (ovvero sono carenti dei presupposti costitutivi previsti dalla legge) o ancora, benché sorti, risultino già estinti al momento del loro utilizzo e, dall’altro, la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli formali. E proprio la riconoscibilità nel corso dei controlli formali della dichiarazione distingue, nell’ottica della Cassazione, i crediti inesistenti da quelli non spettanti. Tale incertezza si è riflessa anche nella giurisprudenza penale, la quale, in assenza di definizioni normative operanti in tale settore, ha, dapprima, definito “non spettante” il credito per il quale si è incorsi in un erroneo utilizzo della procedura di compensazione e “inesistente” il credito che non esiste materialmente oppure che sia già stato utilizzato e, in seguito, ammesso l’estensibilità dell’interpretazione resa dai giudici tributari all’ambito penale.

Le modifiche

In tale incerto panorama, è intervenuta la riforma fiscale. In particolare, ai fini penali, le due nuove lettere g-quater) e g-quinquies) dell’articolo 1 del d.lgs. n. 74/2000 definiscono rispettivamente: i “crediti non spettanti” come quelli fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla legge (ovvero quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento); quelli che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificatamente indicati, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza. I “crediti inesistenti” invece in quelli per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella normativa; quelli per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi indicati nel primo punto sono oggetto di rappresentazioni fraudolente. La normativa tributaria, all’articolo 13 del d.lgs. 471/1997, viene modificata facendo rinvio alle definizioni introdotte ai fini penali le quali operano anche in ambito fiscale, con l’aggiunta che viene stabilita una sanzione molto ridotta laddove il credito “non spettante” venga utilizzato in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale ma: gli adempimenti non siano previsti a pena di decadenza e non siano essenziali al riconoscimento del credito medesimo; la violazione sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della medesima. Benché apprezzabile, l’intervento non sembra agevolare l’accertamento dei requisiti prescritti. Sembrerebbe, però, essere definitivamente superata l’accesa diatriba circa il dies a quo per il decorso dei termini di accertamento in caso di indebita compensazione dei crediti. Con la modifica all’articolo 38-bis del d.p.r. 600/1973, i termini per l’esercizio della potestà accertativa (di 5 anni per i crediti non spettanti e di 8 anni per i crediti inesistenti) decorrono ora, in ogni caso, a partire dal giorno di indebito utilizzo in compensazione dell’uno o dell’altro credito e non già dal momento di presentazione della dichiarazione.

Giuliano Foglia è dottore commercialista

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