L’aspetto è quello di una cannuccia, in realtà è una protesi sintetica di ultima generazione utilizzata per il confezionamento di accesso vascolare in pazienti con malattia renale cronica sottoposti a emodialisi.
La protesi, che al Policlinico di Bari si sta impiantando nell’ambito di un trial clinico internazionale, ha la particolarità di essere realizzata in un materiale completamente riassorbibile dall’organismo nell’arco dei 18 mesi, ripristinando la funzionalità vascolare del paziente e riducendo rischi di trombosi o di stenosi.
«L’obiettivo dello studio internazionale a cui come Policlinico stiamo partecipando è analizzare la funzionalità della protesi, attorno alla quale il corpo del paziente rigenera i propri tessuti vascolari», spiega il dottor Cosma Cortese, co-sperimentatore nello studio che ha come principal investigator il professor Loreto Gesualdo, ordinario di nefrologia dell’Università di Bari e direttore dell’unità operativa di nefrologia del Policlinico universitario barese.
Si tratta, evidenzia, di «un avanzatissimo esempio di medicina rigenerativa. Perché è vero che il gold standard per i pazienti che devono sottoporsi a dialisi è la creazione di una fistola artero-venosa, però purtroppo con l’aumento dell’età media e degli anni di dialisi non è sempre possibile allestire questa fistola a causa dell’esaurimento del patrimonio vascolare. È necessario perciò trovare nuove strade», conclude.
Il dottor Nicola Grandolfo, chirurgo vascolare anch’egli sperimentatore dello studio, aggiunge «negli anni abbiamo utilizzato diverse protesi sia biologiche che sintetiche, ma tutte con evidenti limitazioni legate soprattutto al rischio infezioni, con il successivo espianto della stessa protesi. Questo nuovo materiale, per il cui brevetto l’inventore è stato insignito del premio Nobel, vascolarizzandosi dovrebbe far sì che nel momento in cui ci dovesse esserci una infezione, la terapia antibiotica possa avere efficacia».
Sono già una ventina i pazienti finora arruolati per questo trial clinico dal Policlinico di Bari, ai primi posti in Europa con il Portogallo, i risultati sono molto incoraggianti ma bisognerà attendere ancora alcuni anni per la chiusura dello studio che potrebbe dare al nefrologo e al chirurgo vascolare uno strumento rivoluzionario per migliorare le cure, evitando i reinterventi e le complicazioni, affrontate dai pazienti con malattie renali.