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Omicidio a Molfetta, l’educatore: «Antonella e Michele sono entrambi vittime»

Antonella Lopez ha pagato con la vita un banale sabato sera in discoteca: nessuno è più vittima di lei. Ma Michele Lavopa, dalla cui pistola è partito il colpo che ha ucciso la 19enne originaria del quartiere barese di Fesca, lo è altrettanto perché chi avrebbe dovuto aiutarlo a metabolizzare un malessere covato per anni…

Antonella Lopez ha pagato con la vita un banale sabato sera in discoteca: nessuno è più vittima di lei. Ma Michele Lavopa, dalla cui pistola è partito il colpo che ha ucciso la 19enne originaria del quartiere barese di Fesca, lo è altrettanto perché chi avrebbe dovuto aiutarlo a metabolizzare un malessere covato per anni non l’ha fatto. La tesi è di Raffaele Diomede che, nel corso della sua lunga attività di educatore di minori in area penale, ha incrociato le vite e le storie di decine di ragazzi provenienti da contesti difficili. Incluso Michele Lavopa.

Il ricordo

Diomede è originario di Fesca, lo stesso quartiere dove Antonella era cresciuta. «Una ragazza solare, capace di spendere una parola buona e un sorriso per chiunque – ricorda l’educatore – Era amata da tutti e le pagine Facebook di Fesca, listate a lutto dopo la sua morte, ne sono la prova».

C’è un dettaglio che non tutti conoscono e cioè che Antonella conosceva il suo assassino, così come si conoscevano le rispettive madri: due donne accomunate prima dalla volontà di non rendere i figli preda dei clan mafiosi, poi da una tragedia che, sebbene con sfumature diverse, ha li ha travolti entrambi. «Il dolore della madre di Antonella è straziante e condiviso dall’intero quartiere di Fesca, una sorta di “grande condominio” dove tutte le famiglie si conoscono e condividono le emozioni – prosegue Diomede – Ma altrettanto straziante è il dolore della madre di Michele che ha tentato di aiutare in tutti i modi il figlio con i pochi strumenti a disposizione sua e di un rione, come il San Paolo, che offre scarsissime opportunità a chi vi cresce».

La vicenda di Michele

Diomede conosce bene anche Lavopa di cui è stato educatore. E, a suo parere, l’origine della tragedia di Molfetta va ricercata nell’umiliazione subita anni fa dal ragazzo per mano di Eugenio Palermiti: il nipote dell’omonimo boss di Japigia lo avrebbe bullizzato divulgando persino le relative immagini attraverso i social network. «Michele non è mai venuto fuori da quella storia – argomenta Diomede – Anzi, quella umiliazione si è espansa e, da banale contesa tra due ragazzi, si è trasformata in un conflitto tra quartieri. Perché, in contesti di deprivazione educativa e sociale, certi dissidi sono percepiti come affronti che prima o poi vanno vendicati». Nel corso degli anni, però, nessuno ha compreso il disagio e il rancore covati da Lavopa. Il che, secondo Diomede, fa del 21enne una vittima sociale: «I segnali di odio e desiderio di vendetta lanciati da Michele dovevano essere intercettati. Quel ragazzo potrà essere ritenuto responsabile a livello penale al termine del processo, ma intanto è vittima di un sistema socio-educativo che tende a “scaricare” migliaia di giovani in condizioni di marginalità».

L’accusa e la proposta

Diomede, dunque, punta il dito contro un sistema di protezione sociale che non ha saputo cogliere un disagio evidente. Di qui la proposta: «Serve una rete di prevenzione – conclude Diomede – il che vuol dire censire, in collaborazione con l’università di Bari, tutti i minorenni tra 7 e 12 anni e lavorare sui segnali che ciascuno di loro lancia: impiegheremo qualche anno, ma poi riusciremo a invertire la rotta».

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