Pugliese per definizione, Raffaele Fitto pur avendo un cursus honorum nazionale e da ieri internazionale ha sempre avuto le radici personali e politiche piantate tra le campagne della regione e del Salento, a partire dalla cadenza leccese. D’altronde viene dalla Democrazia cristiana, lì dove «gli accenti ci aiutano a riconoscerci», diceva Ciriaco De Mita.
Figlio d’arte
E nel Salento tutti ricordano suo padre Salvatore, presidente della Regione Puglia a metà degli anni Ottanta, calibro di primo piano tra i dorotei della Balena bianca, scomparso ad appena 47 anni in un incidente stradale. Un evento che impone a Raffaele, appena 19enne, di dismettere i panni di rampollo e di caricarsi una eredità importante sotto la guida di sua madre, Leda Dragonetti, prima che i falchi delle altre correnti Dc non trasformassero il feudo di Maglie in terra di conquista. Inizia lì una carriera fatta di successi e di rovinose cadute, soprattutto quelle provocate da inchieste giudiziarie, che, però, non spettinano il ciuffo seducente e non imbronciano il viso da bravo ragazzo; anzi, a ogni battuta d’arresto segue una ripresa energica.
La scalata
Consigliere regionale, assessore e vicepresidente con Salvatore Di Staso, a cui nel 2000 soffia la ricandidatura a presidente nonostante l’argine della potente Alleanza nazionale, orfana da qualche mese di Pinuccio Tatarella, il “viceré” di Puglia di cui Fitto ambisce a occuparne il ruolo. «È un ottimo testimonial per uno shampoo», ironizza Salvatore, fratello di Pinuccio, all’epoca coordinatore regionale di An. Non basta, l’abbraccio con Silvio Berlusconi che nel 2001 lo definisce «la mia protesi» apre il sipario nazionale al trentenne salentino. Presidente della Puglia per cinque anni, lascia un riordino ospedaliero che gli costerà la riconferma nel 2005. Lui, però, non si scompone, l’anno successivo è deputato e due anni dopo ministro proprio per gli Affari regionali. La fiducia di Berlusconi, però, non gli impedisce quando scoppia la slavina delle feste di Arcore di abbandonare Forza Italia, da europarlamentare forte di 300mila preferenze.
I conservatori
Ed è proprio all’Eurocamera che incrocia i destini di Giorgia Meloni a cui spalanca le porte della destra moderata europea dei Conservatori e Riformisti (Ecr). Un abbraccio che si salda nel 2022 con il ruolo di ministro della “cassaforte” del Pnrr. Un lavoro che lo porta oggi direttamente a Palazzo Berlaymont nella Commissione europea.