Non passa giorno in cui Pasquale Tortora non pensi a quanto accaduto e alle sofferenze che ha procurato anche alla famiglia della piccola Graziella Mansi, torturata e bruciata viva il 19 agosto del 2000 all’età di 8 anni nelle campagne di Castel del Monte. Ce lo ha raccontato lui stesso. Per il fatto Tortora fu condannato a 30 anni con rito abbreviato ed è stato scarcerato a febbraio dopo aver scontato 24 anni.
Il ricordo indelebile
«Come vivi il pensiero di quell’agosto?», la domanda. «Mi sento una persona di merda», la sua risposta. E, certamente, conferma che se potesse tornare indietro non lo rifarebbe. Dice di essere felice di aver ritrovato la famiglia dopo la detenzione. In realtà, quest’ultima non l’ha mai abbandonato perché ogni settimana lo raggiungeva in carcere per la visita. Tra gli altri istituti (ribadisce più volte che questi luoghi sono realtà difficili) in cui ha vissuto ci sono quelli di Lecce, Matera, Foggia e Taranto. Proprio qui racconta di aver subito violenze.
L’esperienza a San Vittore
Don Riccardo Agresti, responsabile di “Senza sbarre”, progetto finalizzato al reinserimento sociale attraverso il lavoro e dove il ragazzo è stato volontario per qualche mese, sostiene che lui abbia vissuto un periodo di grande riflessione. «Penso che abbia maturato nel cuore alcune consapevolezze rispetto a quanto è accaduto e sono convinto che anche in questa fase il ragazzo vada seguito», dice il sacerdote. Intanto, l’avvocato Carmine Di Paola ha scritto una lettera a Tortora, chiedendogli di raccontare la verità. Il penalista è il legale di Giuseppe Di Bari, che insieme a Michele Zagaria, Domenico Margiotta e Vincenzo Coratella (quest’ultimo suicida nel carcere di Lecce) fu condannato all’ergastolo per il caso Mansi.
Tortora fece i nomi dei quattro che, invece, hanno sempre sostenuto di non aver avuto nulla a che fare la vicenda. Il penalista entro questo mese depositerà una richiesta di revisione per Di Bari, detenuto nel carcere di Milano.