Con due sentenze pubblicate il 22 luglio 2024, la Corte Costituzionale è intervenuta sul meccanismo del payback sui dispositivi medici, dichiarandone la legittimità costituzionale. La questione era stata sollevata dal Tar Lazio il 24 novembre 2023, dopo che erano pervenuti circa 2mila ricorsi promossi dalle aziende del settore. A spiegare le conseguenze di tali sentenze è l’avvocato Nicola Dentamaro.
Come possiamo inquadrare la questione dal punto di vista legale?
«Le sentenze sono state due, e una ha avuto conseguenza diretta sull’altra. Per spiegarlo va prima fatta una ricostruzione degli ultimi due anni: il governo ha stanziato un fondo che copriva il 52% degli importi richiesti alle aziende per il payback. A fronte dei due miliardi richiesti l’importo era stato dunque ridotto a un miliardo con decreto legge. Questo prevedeva un termine per accettare il beneficio dello sconto a fronte della rinuncia di tutte le aziende ai ricorsi proposti dinanzi al Tar Lazio. Il decreto è stato impugnato con richiesta di rinvio alla Corte costituzionale, che con la prima delle due sentenze che abbiamo citato, ha statuito che è illegittimo il termine per l’accettazione. Più in dettaglio ha esteso il miliardo di riduzione a tutte le aziende, sia che avessero accettato il beneficio dello sconto sia che avessero proseguito i ricorsi. È stata applicata in maniera piana, a tutti gli importi, una riduzione del 52%. Le due sentenze sono collegate perché la Corte costituzionale, chiamata a valutare la proporzionalità e la ragionevolezza del provvedimento, ha stabilito che, data la riduzione stabilita del 52%, gli importi previsti per il periodo 2015-2018 risultano proporzionali e ragionevoli».
Quali sono le conseguenze?
«Da un lato la Corte ha dato la possibilità a tutte le aziende di aderire alla riduzione del 52%, dall’altro lato ha tolto dicendo che il payback è legittimo perché proporzionale. Forse sarebbe stato meglio che nessuno avesse impugnato quella prima legge. L’esito sarebbe stato diverso in termini di proporzionalità. Ma questa mi sembra più una sentenza politica che giuridica. L’impatto sulle imprese sarà pesantissimo: in questo settore sono quasi tutte piccole e medie realtà con fatturati non troppo alti. Quella che viene richiesta dallo Stato e una liquidità da versare immediatamente. Si tratta di un problema reale, anche perché lo Stato si è assicurato di avere un sistema di recupero coattivo di queste somme: il payback prevede che, laddove le aziende non dovessero pagare, le Asl possono interrompere il saldo delle forniture. Le aziende dunque sarebbero obbligate a continuare a fornire dispositivi a pena di incorrere nell’interruzione di pubblico servizio, che è un reato penale, ma possono non essere pagate fino al raggiungimento dell’importo dovuto».
La sentenza della Corte parla di contributo di solidarietà.
«Non so come si possa parlare di contributo di solidarietà nel momento in cui la sanità viene rifornita da diversi tipi di soggetti, invece sono stati attinti dalla norma soltanto chi fornisce dispositivi medici, la parte più importante della fornitura della sanità pubblica. E chi dovrebbe essere un asse strategico viene invece penalizzato. Al contrario delle aziende del privato accreditato che non vengono toccate da queste sentenze ma che usufruiscono lo stesso delle finanze pubbliche».