L’allarme lanciato dai deputati pugliesi del Partito democratico ha riacceso i riflettori su Decontribuzione Sud. Per la misura, che consiste in un taglio del 30% dei contributi previdenziali per ciascun lavoratore assunto in una delle regioni meridionali, la Commissione europea ha concesso una proroga fino al prossimo 31 dicembre. Dal primo gennaio 2025, dunque, l’agevolazione non sarà più compatibile con l’ordinario regime europeo degli aiuti di Stato. E che cosa succede, nel frattempo? Secondo Claudio Stefanazzi, Ubaldo Pagano e Marco Lacarra, Decontribuzione Sud è di fatto già finita visto che non spetta più ad alcun assunto a partire dal primo luglio scorso. E così, anziché dare alle imprese le certezze indispensabili per programmare investimenti strategici e reclutamento di personale, si svuota di senso e di efficacia una misura che si è rivelata fondamentale per proteggere l’economia e l’occupazione nel Mezzogiorno dagli choc della pandemia.
Il governo Meloni, attraverso il ministro Raffaele Fitto, ha fatto sapere di voler avviare una trattativa con la Commissione europea per fare di Decontribuzione Sud una misura strutturale. In che modo è presto detto: riservando l’agevolazione ai lavoratori impiegati in imprese meridionali caratterizzate da elevati livelli di crescita del valore aggiunto e degli investimenti oppure a quelli al servizio di imprese operanti in settori strategici. In entrambi i casi, però, la portata di Decontribuzione Sud sarebbe notevolmente ridotta, riguardando una modesta percentuale di lavoratori.
Se così stanno le cose, si può solo auspicare che su Decontribuzione Sud siano fatte scelte chiare. Anche perché la misura vale 18,8 miliardi di euro fino al 2030. Sarebbe il caso, dunque, che il governo Meloni definisse già da ora che cosa ha intenzione di fare con quelle risorse. Se il destino di Decontribuzione Sud appare già segnato, tanto vale individuare una soluzione per utilizzare quei 18,8 miliardi in maniera ottimale. Quelle risorse potrebbero essere destinate a rafforzare lo sgravio del 100% per le assunzioni di giovani lavoratori, misura che il decreto legge 60 del 2024 ha rinnovato per due anni. Oppure potrebbero finanziare interventi d’attuare nelle aree di specializzazione produttiva indicate nel prossimo Piano strategico della Zes unica con l’obiettivo di migliorare la produttività del Mezzogiorno. Ancora, potrebbero servire a estendere la durata del credito o ad ampliare il plafond del credito d’imposta per gli investimenti nella Zes unica. Altra soluzione, infine, potrebbe essere quella di rimpinguare la dotazione del Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno che il governo Meloni ha istituito col decreto legge 60 riservandogli, però, soltanto 700 milioni di euro. In ogni caso, quei miliardi devono essere spesi per il Sud e non per altri territori.
Insomma, per i motivi già chiariti su queste colonne, il rinnovo e la trasformazione di Decontribuzione Sud in misura strutturale restano la via maestra per sostenere l’occupazione nel Mezzogiorno. Ma la politica impone di essere più realisti del re. E, dunque, conviene già ipotizzare quali misure possano essere finanziate con le risorse finora appostate per gli sgravi contributivi.
Bentornato,
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