Il gelato piace a tutti. È probabile scontrarsi sulla politica, ordinaria amministrazione discutere delle vacanze estive, tanto facile veder finire amicizie decennali per diatribe calcistiche. Ma il gelato mette d’accordo tutti. Cono, coppetta o cialda, non importa, lo si ama e basta. Chiunque provi a dire il contrario sta mentendo. E non si venga a dire sia un peccato di gola per bambini, «io non l’avrei comprato, è mio figlio che…». Non c’è età che tenga. Casa per casa, italiano per italiano, alzi la mano chi non ne conserva tutto l’anno nel congelatore di casa almeno una vaschetta, così, per sicurezza, per ogni evenienza. Nei mesi caldi poi non stiamo neanche a parlarne. Le code all’ingresso delle gelaterie sono più lunghe di quelle sulla statale, la domenica mattina, sulla via per il mare.
Leggende sull’origine di questa preparazione ce ne sono a bizzeffe. C’è chi lo fa risalire al 1686, quando Francesco Procopio dei Coltelli aprì a Parigi la prima gelateria. Altri evocano Marco Polo o addirittura fumose tradizioni asiatiche, poi esportante nel nostro continente. È però certo che il boom dell’ice-cream sia legato alla commercializzazione dei confezionati da passeggio, iniziata negli anni ’40 in Italia con il lancio dei gelati industriali su stecco seguita dall’avvento di cornetti, coppe e simili. Uno vale l’altro insomma, purché ci venga resa quella felicità fanciulla che solo un gelato può darci. Ma siamo davvero sicuri che sia così?
Il maestro gelatiere
Abbiamo provato a chiederlo a Francesco Paparella, maestro gelatiere di una realtà che da Ruvo di Puglia si è fatta conoscere in tutto il mondo, la gelateria Mokambo. «L’industria è arrivata ovunque a discapito dell’artigianato serio. Con pochissimi elementi è possibile offrire un prodotto di qualità, che sia soprattutto sano. Ma c’è un ingrediente in particolare che sarebbe alla portata di tutti ma viene troppo spesso trascurato: il tempo. Temperare le materie prime è fondamentale per un addensamento naturale delle creme. Basti pensare al ragù delle nonne. Svariate ore di cottura e tanta manualità. C’era un lavoraccio dietro, per questo si mangiava solo una volta a settimana. Ci sono artigiani e pseudo tali, ma per tagliare i tempi di lavorazione tantissimi utilizzano prodotti industriali a discapito della qualità. Quello che consiglio sempre è di leggere gli ingredienti. Solo così si può diventare consumatori consapevoli, accrescendo la propria cultura, affacciandosi a una proposta gastronomica seria, scoprendo un nuovo modo di mangiare». Gelato per tutti insomma, ma occhio alla qualità con attenzione alle materie prime.