In questi giorni assistiamo a un paradosso politico. La presidente del Consiglio Meloni ha avuto un ottimo risultato elettorale, ma non ha voluto abbandonare la ridotta dei conservatori europei (che poi sono la destra-destra) e ha pagato un prezzo alto perché gli altri Paesi e gruppi politici l’hanno esclusa dalle trattative sulla nuova presidente della Commissione europea.
Abbiamo un governo stimato per la linea di politica estera ma accostato, quanto al governo dell’Unione, all’Ungheria di Orban, oggetto di un “cordone sanitario”. È la prima volta che l’Italia viene esclusa da queste trattative ed è la prima volta che un Paese «leader dell’Unione» (parole del popolare Weber) e del G7, viene trattato così.
Al contrario, Elly Schlein potrebbe esercitare un importante ruolo europeo, in quanto leader della maggiore delegazione nazionale del gruppo dei socialisti e democratici che sono nel cuore delle trattative europee. Eppure Schlein vi ha rinunciato, forse per non entrare nel ginepraio delle nomine che da sempre rappresentano un campo minato nel Partito democratico, e forse pensa maggiormente alla tenuta unitaria del partito e alla costruzione della coalizione alternativa al governo per le politiche.
L’Italia, dunque, è stretta da una doppia debolezza che può costare caro. È vero che nella Commissione europea ci saranno comunque italiani, ma il rischio di una perdita di peso è reale perché il disegno esplicitato da Meloni è mutare segno all’Unione attuale, facendo entrare la destra europea nel patto di sindacato che guida il processo di integrazione. Un disegno a lunga scadenza temuto in quanto capace di sovvertire lo status quo.
Il maggior pericolo che corriamo è una minore attenzione alle nostre ragioni sulla spesa europea, in particolare, ma non solo, sui fondi di sviluppo e coesione, fondamentali per il Mezzogiorno. Finora siamo stati seguiti con attenzione da Bruxelles nell’uso di questi fondi e veniva periodicamente chiesto conto al governo della pochezza dei risultati nonostante la marea di denari affluenti.
Il Mezzogiorno è l’area più povera d’Europa, inclusi i paesi dell’Est! L’Unione è stata più vicina al Mezzogiorno dei nostri governi nazionali, che non hanno fatto la propria parte e hanno spesso destinato i cofinanziamenti ad altri scopi. Ora il rischio è che quell’atteggiamento si trasformi in un relativo disinteresse o in una maggiore severità di giudizio. In questo quadro calano le battute finali delle trattative del governo con le regioni per la distribuzione del Fondo di sviluppo e coesione. Il dossier, in mano al ministro Raffaele Fitto, vede Puglia e Campania ancora “alla sbarra” e non beneficiate dall’intesa, con rischi per gli investimenti programmati. Fitto è tra l’altro uno dei più accreditati candidati a rappresentare l’Italia in seno alla Commissione europea.
La posizione del governo è che nel Mezzogiorno i fondi si spendano – la Puglia è notoriamente un’eccellenza nella spesa – ma male (soprattutto in Campania). Le regioni a guida Pd lamentano l’ostruzionismo del governo e sono rimaste senza intesa. L’accordo è comunque prossimo. Fitto, tra i volti più presentabili del Governo, è destinato a giocare un ruolo da protagonista della fase per ora da Roma, forse domani da Bruxelles. Puglia, Campania e il Mezzogiorno tutto restano in attesa.
Bentornato,
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