Tommaso Avati, scrittore e sceneggiatore, nel suo ultimo romanzo, “La ballata delle anime inutili” (edito da Neri Pozza), ci porta fra le masserie del Gargano, in mezzo ai campi dorati e ai cerri che la sera si agitano al vento.
L’“inutile” Sofia
Siamo in pieno Ventennio, per la precisione nel 1938, e a scuola il maestro in camicia nera vuole che Sofia parli del suo paese in tono “gagliardo”, ma lei proprio non riesce. Sofia non riesce anche in altre cose ritenute fondamentali, ad esempio a fare di calcolo, ed è femmina, già solo per questo è anima inutile. Con questa convinzione la cresce il padre, Vittorio Logreco, che “ha i figli di una mano”, almeno fino alle dita di una mano Sofia a contare ci arriva. L’immagine richiama significativamente quella usata dal Verga ne “I Malavoglia” per spiegare la concezione della famiglia di Padron ‘Ntoni: “Per menare il remo bisogna che le cinque dita si aiutino l’un l’altro” e della famiglia lui era il dito grosso e gli altri i più piccoli, anche lo stile adottato dall’autore ha il ritmo e l’efficacia essenziale della narrazione verista, le caratteristiche più adatte a mettere in luce la realtà di un paese rurale in cui ogni giorno si sussegue uguale all’altro, anello di una catena che imprigiona i pensieri e i sentimenti. Alla voce della ragazzina si uniscono quelle degli altri componenti della grande famiglia in un racconto corale che restituisce a pieno la varietà dei punti di vista su di un mondo dominato da superstizioni e leggi ataviche, insuperabili e spesso spietate.
L’ebraismo sul Gargano
Sin dai tempi più antichi, però, il Gargano non è solo la terra di fatica, è anche la Montagna sacra, segnata dalla via Sacra Langobardorum, tappa dei Crociati in viaggio verso la Terra Santa, meta dei pellegrinaggi ai santuari di San Michele arcangelo e San Pio, impreziosita da cattedrali, abbazie e chiese rupestri. La vicenda storica che a un certo punto s’intreccia a quella della famiglia Logreco ha, infatti, un carattere sacro: mentre il regime promulga le leggi razziali, una parte del paese sceglie di convertirsi all’ebraismo. Si tratta di un caso quasi incredibile che è fatto periodicamente oggetto di studi, uno degli ultimi autorevoli contributi è di John A. Davis, “Gli Ebrei di San Nicandro”, in cui si ripercorre il cammino di Donato Manduzio, calzolaio e invalido di guerra, che dopo aver letto alcune pagine della Bibbia, chiese se gli ebrei esistessero ancora e ricevuta risposta affermativa, cominciò a studiare per convertirsi a quella fede che credeva scomparsa.
La spiritualità di Sofia
Sofia, in una casa in cui il capofamiglia decide per tutti, femmine o maschi che siano, seguendo solo il criterio della “roba”, rivela sin dall’inizio una spiritualità ancestrale, una simbiosi profonda con la natura, per la quale trova parole che nessuno dei suoi familiari conosce. Lei non potrà non lasciarsi coinvolgere da quella esperienza religiosa straordinaria, segno evidente di un’irrinunciabile ricerca di libertà e affermazione. Il vento così comincerà a soffiare forte non solo al tramonto, trascinando pezzo a pezzo la famiglia Logreco: come per i Malavoglia e la casa del Nespolo, il declino sarà inesorabile, ma a differenza dell’epopea verghiana, la voce di una donna, considerata l’errore, “la lenta”, l’elemento che non serviva, risuonerà chiara oltre il crollo. Avati anche in questo lavoro come nel precedente, “Il silenzio del mondo”, indaga e valorizza la forza femminile.
La nuova vita
Un altro credo presto vorrà dire un’altra terra. Quasi tutto il gruppo appena nato emigrerà nel nascente Stato di Israele, lasciando nel borgo solo quattro donne. Poche senza dubbio ma anch’esse tenaci, come la protagonista, tanto che la piccola comunità di allora resiste ancora oggi.