Martedì al Castello di Acaya di Vernole, mercoledì nelle Cave di Fantiano a Grottaglie e giovedì (in collaborazione con GS23 Eventi e con Rush Eventi) in piazza Duomo a Trani, il sociologo Paolo Crepet porterà in scena “Prendetevi la luna”, suo ultimo spettacolo teatrale tratto dall’omonimo libro edito da Mondadori nel 2023, tappa pugliese del tour organizzato da Aurora Eventi. Con questo lavoro, Crepet tratta i temi a lui più cari, ovvero educazione, scuola e famiglia. Il suo intento è chiaro: fornire uno strumento per orientarsi oltre la coltre di nubi che oscurano la luna, ovvero la speranza.
Crepet, quanto è importante al giorno d’oggi trasmettere alla comunità messaggi positivi?
«Quanto più la comunità sembra smarrita, tanto più questo lavoro potrebbe potenzialmente essere utile. In questo periodo le famiglie non sanno bene cosa fare per quanto riguarda la questione scolastica, per dirne una. Si pensi che ora siamo al termine di una campagna elettorale disastrosa, che non è riuscita a dire una parola sull’educazione, sulla scuola, sul futuro dei ragazzi. Poi c’è chi si chiede come mai i giovani non vanno a votare. Non hanno votato perché non sono stati i soggetti di questa campagna elettorale».
Lo spettacolo riprende il suo penultimo libro. Che lavoro ha svolto in questa trasposizione dal testo al palco?
«Non c’è una trasposizione letterale parola per parola. Certo che i temi di cui parlo nel libro sono i temi fondamentali dello spettacolo. Alla fine di giugno cambierà il titolo del mio spettacolo, che prenderà spunto da “Mordere nel cielo”, il nuovo libro in uscita il 25 di questo mese. Per me si tratta di un filo rosso, di un ragionamento che non viene solo da un libro, ma che viene da tanti anni e da tanto impegno. Ho fatto più di 4.500 serate nella mia vita, quindi credo di avere una qualche esperienza per intrattenere il pubblico».
Quando scrive utilizza un linguaggio, quando è sul palco ne utilizza un altro. Con quale si trova più a suo agio?
«Questo era un appunto che certamente era vero 25 anni fa. Poi la mia vita professionale mi ha aiutato in qualche modo a cambiare entrambi i linguaggi per farli diventare molto simili. Oggi il mio modo di scrivere è molto simile al mio modo di parlare. Questo è stato il mio lavoro, perché non mi piaceva avere queste due note così distinte in una partitura, ma cercavo note simili. E quindi ogni volta che scrivo cerco di farlo in maniera più piana, comprensibile, magari anche divertente, perché ho un lato comico che credo si debba cogliere attraverso la scrittura».
Qual è il feedback che riceve dagli spettatori?
«C’è molta attenzione e alcune contestazioni. Ci sono degli applausi che io chiamerei rigenerativi perché fa bene trovare qualcosa su cui siamo d’accordo e in maniera inaspettata, perché l’applauso viene sempre da qualche cosa che attendevi ma che non hai sentito. Un po’ come quando il cantante fa quella canzone famosa che ricorda gli anni passati: lì scatta sempre l’applauso perché è memoria emotiva. La stessa cosa avviene durante le mie serate, cioè scatta l’applauso laddove capiamo assieme che ciò che è stato fatto è assolutamente demenziale. Una per tutte il registro elettronico, che io trovo uno dei punti più bassi della pedagogia italiana, ma non ci sono scioperi per impedirne l’uso. Quando finisco il mio spettacolo, tutto si traduce sempre in un grandissimo silenzio dove nessuno si alza e se ne va. Questo credo sia il migliore complimento che mi si possa fare».
Che cosa dovrebbe fare la società per migliorare?
«La cultura deve sempre cercare e individuare qualche eresia. Sono fondamentali le eresie, che sono le ricerche della verità. Non è uno sberleffo del potere, ma è la ricerca di una nuova verità. Ecco, mi chiedo: qual è la nuova verità che si vuole? Ho paura che si faccia molta fatica a individuarne una».