Il Parlamento europeo è ormai rinnovato e, con esso, i rappresentanti italiani. Elezioni, quelle europee, da sempre considerate una occasione di “libera uscita” per i cittadini. Affermazione che, però, aveva un senso forte quando c’erano le ideologie e il un sentimento di appartenenza partitica era forte. Tuttavia è vero che anche nelle scorse tornare queste elezioni hanno segnato una forte volubilità degli elettori e, di conseguenza, sono state manifestazione di una notevole volatilità del voto (valga per tutti il 34% della Lega del 2019). Quello che resta dei partiti, d’altra parte, non ha contribuito a rendere il rinnovo del Parlamento europeo un momento di dibattito pubblico di rilievo su ciò che è e dovrebbe essere l’Europa o del ruolo del Parlamento medesimo nell’architettura istituzionale europea.
Non è avvenuto neanche stavolta, con una guerra alle porte e con sfide enormi come quella di una trasformazione clamorosa del mondo produttivo e dei tempi della vita e del lavoro imposti dall’irrompere di tecnologie di rottura che per semplicità raggruppiamo nella espressione di AI (Intelligenza artificiale). Nomi dei leader nei simboli, accozzaglie per superare gli sbarramenti elettorali, sondaggi più o meno interessati e, soprattutto tutti – anche la stampa – pronti a misurare decimali, a fare confronti tra partiti finitimi, a misurare lo stato di salute del governo e quello delle opposizioni.
Eppure ci sarebbe tanto, lo abbiamo detto, di cui parlare. In politica, come nella vita, ci sono dei bivi e imboccare la via sbagliata ha un costo salato: può distruggere o creare interi comparti produttivi, impoverire o arricchire la popolazione, allungare o abbreviare la vita delle persone. L’Unione europea è una realtà viva anche se piena di chiaroscuri e le dimostrazioni georgiane dimostrano che è ancora una meta desiderabile, in nome della quale si manifesta e, come avviene in Ucraina (perché di questo si tratta) si combatte. Si tratta pur sempre della più grande “invenzione” istituzionale del Novecento. Più dell’Onu, perché, con tutti i suoi limiti, l’Europa è un soggetto fortemente politico, con norme che si impongono agli Stati e una bellissima e innovativa Carta dei diritti fondamentali pienamente vigente.
Ma non si parla di questo né di difesa europea o della creazione di uno Stato sociale europeo che sia espressione di un’identità europea. Non si parla neanche, per venire a temi più vicini a noi, del perché centinaia di miliardi del Fondo di sviluppo e coesione, del Fondo sociale europeo e del Fondo per lo sviluppo regionale non abbiano portato il nostro Mezzogiorno a un livello di sviluppo economico e sociale accettabile, a differenza di altre aree europee che erano messe perfino peggio di noi. Non si parla dell’impatto del Pnrr, il quale pure aveva tutte le premesse, inclusi i vincoli di destinazione voluti da Mario Draghi, per trasformare il volto del Mezzogiorno. O, infine, se le nuove regole economiche e finanziarie che dovranno equilibrare sviluppo e tenuta dei conti saranno compatibili con i riequilibri generazioni, di genere, territoriali. Eppure tutto ciò è determinante per le nostre vite. Ciononostante non è difficile, tra le cortine fumogene della politica, individuare chi è europeista e chi no, chi vuole davvero un’altra Europa e chi vuole invece solo meno Europa. E invece sarebbe sempre il caso di guardare, vedere. E decidere secondo le proprie idee.
Bentornato,
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