(Adnkronos) – “Con Omicron si rischiano anche più casi di Long Covid. Unica difesa, la vaccinazione”. Lo spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’. Il long Covid è un fenomeno destinato ad aumentare, lo indica uno studio inglese pubblicato sulla rivista ‘The Lancet’ che ne ha confrontato l’insorgenza dopo l’infezione acuta con le varianti Delta oppure Omicron del virus SarsCoV- 2. Chi è stato infettato con Delta ha una probabilità maggiore di andare incontro a long Covid, ma Omicron è talmente più diffusa e contagiosa da far prevedere agli autori un notevole incremento della sindrome in termini assoluti. “L’analisi britannica conferma le nostre preoccupazioni, sia in termini di conseguenze individuali del long Covid sia di ricadute sociali, e compare in coincidenza con un report sul tema appena elaborato dall’Accademia nazionale dei Lincei”, commenta Mantovani che è anche primo firmatario del documento, che è stato coordinato da Gianni Bussolati e al quale hanno contribuito Maria Concetta Morrone, Carlo Patrono , Gabriella Santoro, Stefano Schiaffino e Giuseppe Remuzzi.
“Del resto già nello studio tedesco ‘Epiloc’, il 20% delle persone (fra i 18 e i 25 anni) aveva riferito almeno una moderata compromissione del proprio stato di salute e della capacità lavorativa a distanza dall’infezione acuta – sottolinea Mantovani – Altre stime inglesi parlano di disturbi nel 20% dei casi dopo cinque settimane e nel 10% dopo tre mesi. Indagini cinesi hanno evocato problemi anche dopo due anni. I sintomi, a cominciare da dolori e spossatezza, sono di varia gravità e possono investire polmoni e bronchi, sistema nervoso, rene, intestino, senza dimenticare l’impatto sulle funzioni metaboliche. Uno degli impatti che è emerso con maggior forza più di recente è quello che insiste su cuore e vasi”.
Mantovani ritorna anche sul ruolo della vaccinazione anti-Covid. “Sebbene le indicazioni sul suo ruolo protettivo anche nei confronti del long Covid siano solide, circolano alcuni dubbi, instillati anche da una ricerca sui veterani americani che riconosce alla vaccinazione una protezione significativa ma limitata verso la sindrome. Questa ricerca – continua lo scienziato – ha però grandi limiti metodologici dal momento che ha incluso soltanto il 10% di donne nel campione, sebbene siano più suscettibili al problema, e ha preso in considerazione schemi di vaccinazione incompleti, cioè a base di una sola dose di vaccino con adenovirus o di due dosi con vaccino a mRna, quando è assodato che ne servono due del primo tipo e tre del secondo. Tant’è vero che dati israeliani, al contrario, dimostrano come il ciclo completo di vaccinazione eserciti un effetto protettivo anche nei casi in cui ci si reinfetti dopo vaccinazione o malattia, come sta capitando a moltissime persone con le nuove varianti”.
“Se sul ruolo protettivo della vaccinazione restano pochi dubbi, bisogna però sottolineare, e il report dell’Accademia lo fa, che molto rimane da capire sul long Covid”, ammette Mantovani. “Alcuni progressi interessanti sono stati tuttavia compiuti nella comprensione dei fattori che ne possono essere all’origine. Se il primo è lo stato di salute generale di partenza di chi viene infettato ce ne sono altri che entrano in gioco. Uno – osserva – è la persistenza silente, per esempio nell’intestino o nel sistema nervoso, del virus, che può risvegliarsi e/o innescare reazioni immunitarie. Un altro ruolo può rivestirlo la riattivazione di altri virus quiescenti dentro di noi, come quello di Epstein-Barr o il Citomegalovirus”.
“Infine vi sono indicazioni di deviazioni della risposta immunitaria, cioè fenomeni autoimmunitari, indotti da Sars-CoV-2. Nel frattempo si stanno cominciando a identificare alcuni biomarcatori di gravità del Long Covid, come citochine, interferoni e Ptx3, una molecola scoperta per la prima volta da noi”, conclude Mantovani.