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Bari, in Calabria toccato il fondo di una stagione da incubo – HIGHLIGHTS

Nel calcio, come nella vita, c’è un limite a tutto. E il Bari quel limite lo ha abbondantemente superato, sconfinando nell’umiliazione. A Cosenza è andato in scena l’ennesimo spettacolo indecente di una squadra sempre più allo sbando. Quando si subiscono gol come i primi due segnati dal Cosenza, c’è poco da imprecare alla malasorte e…

Nel calcio, come nella vita, c’è un limite a tutto. E il Bari quel limite lo ha abbondantemente superato, sconfinando nell’umiliazione. A Cosenza è andato in scena l’ennesimo spettacolo indecente di una squadra sempre più allo sbando.

Quando si subiscono gol come i primi due segnati dal Cosenza, c’è poco da imprecare alla malasorte e tanto a una stagione programmata non si sa bene sulla base di quale principi. Una difesa indecente, un centrocampo che non sa impostare il gioco, nè fare da filtro, e un attacco che meno offensivo non si può.

Quattro allenatori diversi in una stagione, compreso l’ultimo incolpevole tecnico della Primavera, Federico Giampaolo, gettato nella mischia più per dare un nome al responsabile della panchina che per scelta ragionata. La classica mossa della disperazione. Questo è il Bari che sta colando a picco nell’inferno della terza serie. Se finisse oggi il campionato, sarebbe direttamente retrocesso in Lega Pro. Pazzesco se si pensa che solo a giugno scorso è arrivato a soli 120 secondi dalla serie A.

A volere fare le cose davvero in grande, a quella squadra sarebbe bastato aggiungere due-tre calciatori di livello, in particolare in quella difesa che inspiegabilmente più di qualcuno scopre solo oggi essere inadeguata per una formazione ambiziosa, per ammazzare il campionato e tornare in serie A che a Bari manca come l’aria. Ma vogliamo tenere fede alla promessa fatta pochi mesi fa da queste colonne e aspettare la fine della stagione per i processi. Anche se il quadro appare già ampiamente chiaro sui responsabili di questa stagione da incubo. Ma è certamente l’occasione per ribadire che il Bari deve ritornare ai baresi, almeno per una quota parte della società.

Urge una figura di garanzia che arrivi dal territorio. E anche al più presto. Non vogliamo più sentirci definire “seconda squadra di qualcuno”, o “succursale” di società Pinco Pallino. La seconda realtà del Mezzogiorno può e deve riprendere a camminare da sola. Perché ha le risorse per farlo, così come dimostra oltre un secolo di storia. Anche nell’era delle multinazionali del calcio. Restano altre tre partite a cui aggrapparsi e sperare in un’impresa che a questo punto appare davvero molto complicata.

Negli ultimi 270 minuti di campionato, non sarà una questione di allenatore o di avversari ma esclusivamente di testa. I giocatori sembrano chiaramente aver preso una brutta china. In campo sbagliano anche i passaggi più elementari perché non sono più sereni, ostaggio di una paura che si fa partita dopo partita sempre più invalidante. Un film, purtroppo, già visto tante e tante volte nel calcio, dalla serie A ai tornei dilettantistici. Perché allenatori dal curriculum prestigioso come Iachini non possono essere diventato di colpo dei brocchi. Se non è riuscito lui a raddrizzare la baracca, vuol dire che non è una questione di panchina ma di “materia prima” scadente o male assortita. Non resta che incrociare le dita e sperare di essere piacevolmente smentiti da un Bari che già dalla prossima partita del primo maggio al “San Nicola” col capolista Parma ci stupisca con effetti speciali come nel famoso spot televisivo.

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