Il maresciallo Gerardo Leone, il grande accusatore di Sandro Cataldo, non ci sta a farsi dipingere come un corruttore (su denuncia di Cataldo stesso), soprattutto ora che su di lui, ormai a giorni, si dovrà pronunciare la Corte di Cassazione. È fissata infatti per il 7 giugno prossimo l’udienza, dinanzi ai giudici romani per valutare la sua posizione, dopo che nella precedente il finanziere aveva rinunciato alla prescrizione.
Leone, al quale il braccio destro di Sandro Cataldo, in un periodo di rottura (apparentemente insanabile) tra i due, si era rivolto per denunciare il suo “padrino”, era stato inviato a giudizio per tentata concussione (che nel 2015 era punita solo “per costrizione”) e rivelazione del segreto d’ufficio aggravato dal fatto di essere ufficiale di polizia giudiziaria. Nel giugno 2019 il tribunale collegiale di Bari lo aveva assolto da entrambi i reati, per insussistenza del fatto, e lo aveva condannato due anni di reclusione, per tentata induzione, avendo accertato con sentenza definitiva(la Procura di Bari non aveva proposto appello) che Leone non avrebbe mai preso soldi da Cataldo. Ma il finanziere, non soddisfatto, aveva presentato appello contro l’accusa di tentata induzione, e la Corte di Appello di Bari gli aveva ridotto la condanna ad un anno e mezzo (pena sospesa) per lo stesso reato. Viene allora presentato un ricorso alla Cassazione e Leone rinuncia alla prescrizione. I giudici, e siamo alle ultime battute, chiedono ai colleghi baresi del secondo grado i verbali di udienza e rinviano a giugno per decidere sul merito.
Era il 22 gennaio 2021 quando Defrancesco contatta su Messenger il maresciallo capo Leone (in quel periodo sospeso dal servizio) e gli chiede di incontrarsi per parlare di “fatti e condotte illecite” commesse dal suo “peggior nemico”. Leone si presenta all’appuntamento con un registratore nascosto: le parole di Defrancesco finiranno poi in una chiavetta Usb, che Leone consegnerà ai suoi diretti superiori, fissando un nuovo incontro con Defrancesco in caserma, cinque giorni dopo. Lui conferma, descrivendo Cataldo come “capo di un’associazione a delinquere, da lui stesso ideata, volta principalmente alla corruzione elettorale e al successivo controllo di amministrazioni ed enti pubblici”, garantendo di avere ingente documentazione a suffragio, ma non sporge denuncia, riservandosi di farlo più in là. Ma non lo farà più.