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Parla Pino Pisicchio «Non ho dubbi: i miei fratelli sono innocenti»

«Una Tangentopoli pugliese? Non saprei. Certo è che la Puglia non è marcia e che gli amministratori non vanno a braccetto con i boss. Il problema, semmai, è che la politica è fragile, basata com’è su partiti personali e piena di avventurieri». La pensa così Pino Pisicchio, costituzionalista e politico barese di lungo corso, i…

«Una Tangentopoli pugliese? Non saprei. Certo è che la Puglia non è marcia e che gli amministratori non vanno a braccetto con i boss. Il problema, semmai, è che la politica è fragile, basata com’è su partiti personali e piena di avventurieri». La pensa così Pino Pisicchio, costituzionalista e politico barese di lungo corso, i cui fratelli Alfonsino e Roberto sono coinvolti nell’ultima inchiesta che ha travolto la politica locale.

Onorevole, che cosa pensa di questa indagine?

«Per abitudine valuto l’azione della magistratura dagli atti e non dal clamore mediatico che sollevano i suoi interventi. Se dovessi invece guardare all’esplosione di titoli sui media ed esprimere valutazioni sociologiche, direi che vedo in questo sommovimento un effetto della transizione da un assetto a un altro, il portato di una transizione che si misura con il cortocircuito della politica. L’aspetto doloroso di tutto questo è il fatto che si spari nel mucchio e vengano accostati nomi e persone del tutto diverse per storia e comportamenti. Non ho letto il contenuto dell’ordinanza che ha colpito due miei fratelli. Sono certissimo della loro innocenza e della loro onestà personale e politica. Non sono un penalista ma solo un costituzionalista e ricordo a me stesso le tutele e le garanzie che sono poste per ogni cittadino, e che con l’assalto mediatico vengono annullate. Non ho mai creduto all’allarme che poneva Borges quando diceva che non è necessario essere colpevoli per aver paura di un giudice. Ho fiducia nella magistratura. Tuttavia domando a me stesso come mai un’indagine che risale a quattro anni fa, oggi possa portare a una determinazione restrittiva. Si avrà modo di spiegare e, sicuramente, di dimostrare l’estraneità alle fattispecie contestate. Ribadisco: conosco i miei fratelli, il loro galantomismo, la loro condotta corretta».

Intanto è la terza inchiesta dopo Codice interno e quella sul voto di scambio: è la prova che Bari e la Puglia sono marce? Se sì, di chi è la colpa?

«Contesto l’idea di una Puglia marcia, della capitale nazionale della criminalità organizzata, della politica a braccetto con i boss. Su questa narrazione dobbiamo fare tutti il mea culpa: destra, sinistra e populisti sparsi. Bari non ha un’antropologia criminale. Bari ha un’assenza di politica, una liquefazione dei partiti, un senso del soccorso ai vincitori, che si chiama band wagon. Il combinato disposto di queste cose rende tutto più difficile».

Qualcuno paragona la Bari del 2024 alla Milano del 1992: ci sono punti di contatto con Tangentopoli?

«Una piccola Tangentopoli? Non saprei. Trent’anni fa c’era una stagione di trapasso: cadde il muro di Berlino, qualcuno parlò di fine della storia, il sistema politico era subitamente diventato obsoleto, annichilito, non in grado di autorinnovarsi. Quella crisi fu solo la sanzione, con uno smisurato protagonismo dei media, destinata a un sistema al tramonto. Fu anche quella una transizione. In questa storia barese non c’è neanche la nobiltà del tramonto di un’epoca. C’è una politica fragile, perché poggia su partiti personali e un bel mucchio di avventurieri. Attenzione, però, a sparare nel mucchio: c’è pure tanta gente innocente».

Nel 1992 Bettino Craxi accusò i pm di essere organici a un disegno politico, lasciando intendere che le inchieste fossero un colpo di Stato: oggi a Bari succede la stessa cosa? O, meglio, è credibile la tesi di chi ritiene che la destra voglia riprendersi Bari e la Puglia demolendo Decaro ed Emiliano per via giudiziaria?

«Non credevo alla politicizzazione della magistratura – salvo ovviamente quella dei singoli entrati in politica – e non ci credo oggi. Ho fatto anche il presidente della Commissione Giustizia alla Camera e non ero tra quelli che volevano dividere le carriere, per capirci. Qui è l’assenza di una politica normale. Non la presenza incombente della magistratura in quanto ordine».

A ogni modo, Tangentopoli ebbe anche un’eredità negativa: le confessioni estorte, l’abuso della carcerazione preventiva, gli indagati a favore di telecamera o macchina fotografica come Enzo Carra. Teme che quella stagione possa ripetersi a Bari?

«Sta facendo a me una domanda che ha una sola risposta: voglio credere nella correttezza della magistratura».

A prescindere dall’esito delle inchieste, una vittima già c’è: il garantismo. A Bari si saldano le pulsioni manettare della destra e del M5s, ma anche il Pd non scherza quando dice di voler espellere gli indagati. Che cosa ne pensa?

«Ecco: una spolveratina al catalogo dei diritti costituzionali del cittadino alle prese con la giustizia io la suggerirei a tutti. Il problema serio è anche quello dell’abbassamento del livello medio del ceto politico, del puntare alla pancia piuttosto che alla razionalità dei cittadini».

Tangentopoli fece sorgere una nuova classe politica con nuovi partiti e leader: qui succederà la stesso con Conte in Regione o Laforgia a Bari?

«Torniamo al punto: sono finiti i partiti, è scomparsa la cultura politica, non esistono più strumenti per formare i nuovi politici. Ci sarà qualche motivo se la gente diserta le urne? La cosa tristissima è che nel calderone mediatico finiscono persone che nulla hanno a che fare con questa nuova classe di politicanti. I miei fratelli, sono certo, ne usciranno a testa alta. Ma chi li risarcirà per il dolore che ora stanno provando insieme con le loro famiglie? E poi quando? E con quale rilievo mediatico? È un tema vecchio, lo so, ma nessuno mai dovrebbe dimenticarlo».

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