Ce l’immaginiamo questi Richelieu della politica locale, questi Machiavelli del calcolo elettorale, questi Churchill del quartiere Madonnella. Eccome se ce l’immaginiamo. Stretti tra loro a confabulare per trovare la soluzione all’arcano delle ennesime elezioni a perdere. Li vediamo muoversi sulla tavola inclinata e scivolosa delle probabilità e degli imprevisti. Non avendo un candidato, non avendo loro voglia di esserlo, preferendo le terrazze romane ai lidi baresi, li scorgiamo arrovellarsi nel palpito del come riprendersi la città. Il programma? Non è quello che conta. Pensano ad altro.
Così, mentre i giorni passano, loro trascorrono le notti in bianco a immaginare un coup de théâtre capace di farli vincere sul sindaco dei sindaci, su colui che è stato capace di diventare famoso anche in Cina quando loro, poverini, non se li fila nessuno neanche alle riunioni di condominio.
Il resto è cosa nota. Un piano ben studiato, un marchingegno con meccanismi ben oleati e ad orologeria. Per carità, in politica questo è il pane quotidiano. Colpire l’avversario senza esclusione di colpi fa parte del turpe gioco del potere. Nessuno lo nega. Eppure, il loro, ha alla base un madornale errore strategico. La tattica c’è, ma manca la visione totale, ad angolo giro, la capacità di qualificare l’azione oltre che quantificarla.
Con la mossa della commissione d’ispezione del Ministero, il centrodestra barese ha commesso un grave errore di valutazione. Non ha minimamente tenuto in considerazione la reazione dei baresi che, da sempre, sono levantini nella testa e, soprattutto, nel cuore. Il loro senso di appartenenza al territorio che li ospita è fortissimo. Qui da noi, nella città vecchia, i bassi sanno sempre di pulito, le chianche esterne sono sempre lucide. E nella città nuova le botteghe di una volta, ovvero i negozi di oggi, hanno le vetrine trasparenti e luccicanti, con la merce ben in vista e spolverata a dovere. I baresi amano Bari e vederla scaraventata sulle prime pagine dei giornali o nei titoli di testa dei tg come una città mafiosa, li ha colpiti ed addolorati. Al netto della passione per Decaro, non ci stanno a veder frantumata la loro reputazione per un errato e frettoloso calcolo politico che, come un boomerang, tornerà indietro sulle teste di chi lo ha immaginato e poi lanciato.
I baresi credono in quella parte della città sincera, leale, accogliente, lavoratrice. Certo sanno che ne esiste anche un’altra meno valorosa, ma la danno per perdente. A Bari i buoni superano di gran lunga i cattivi e la comunità, checché se ne dica, sa di avere gli anticorpi per reagire.
Eppure, nonostante l’arrivo del sole primaverile, sono giorni nuvoli per la città. La maggior parte dei baresi sente calpestato il lavoro fatto in tutti questi anni per entrare a testa alta in Europa come città di svago e tranquillità dove si vive e si mangia bene. La città dei turisti, la città dove nessuno è straniero. I baresi ci tengono a difendere la loro identità e di certo non perdoneranno chi ha tentato di sporcarla inutilmente. Un profilo disegnato con sudore e sacrifici, che mai come in questi giorni, e nei prossimi, va ed andrà preservato, perché ovunque lodato ed apprezzato.
Dunque, giù le mani da Bari ed alla larga dai baresi. Lo Stato farà lo Stato ed anche noi faremo la nostra parte. Non ci sottrarremo ai nostri doveri, ma non per questo rinunceremo ai nostri diritti. A proposito, stia tranquillo il nostro sindaco Antonio Decaro. Può tranquillamente rinunciare alla scorta. A proteggerlo, da oggi, ci pensiamo noi. Tutte le baresi ed i baresi che credono in una città non perfetta, ma migliore di quella di prima. Una città viva. Una città vera.
Bentornato,
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