Imposte più alte, revisione dei regolamenti comunali e riorganizzazione dell’apparato burocratico con sostituzione dei dirigenti dei vari servizi. Ma stop a qualsiasi intervento di carattere straordinario. Ecco lo scenario che ha caratterizzato le 36 amministrazioni sciolte nel 2022 e che, di qui a qualche mese, potrebbe aprirsi anche per Bari.
Sia chiaro. Per il momento, al capoluogo pugliese è destinata soltanto una commissione d’accesso. Significa che, articolo 143 del Testo unico degli enti locali (Tuel) alla mano, tre commissari nominati dal Ministero dell’Interno passeranno al setaccio eventuali appalti, contratti e servizi inquinati dalla mafia o gestiti in violazione della legge. Soltanto nel caso in cui dall’ispezione, che può durare al massimo sei mesi, dovessero emergere effettivamente legami con la criminalità organizzata, sarà il presidente della Repubblica a sciogliere il Comune su proposta del ministro dell’Interno. Dal 2016 a oggi, le amministrazioni che si sono viste “fare le pulci” dagli ispettori del Viminale sono state 136, come la deputata Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha ricordato ieri pomeriggio: «È normale che, a seguito di un’ordinanza del Tribunale della prevenzione di Bari che prevede l’amministrazione giudiziaria per una società, si proceda a un accesso».
Ma che cosa potrebbe succedere, a Bari, qualora il Consiglio comunale fosse effettivamente sciolto e l’amministrazione commissariata? In questa situazione si sono trovati, nel 2022, 36 Comuni di cui undici sciolti per infiltrazioni mafiose. Dal 1991 al 2022, le amministrazioni commissariate sono state quasi 12 l’anno, con una concentrazione maggiore nelle regioni del Sud: undici in Calabria, otto in Campania, sette in Sicilia e Puglia, due nel Lazio e uno in Valle d’Aosta. Per comprendere come abbiano operato i commissari nei Comuni sciolti, basta analizzare la relazione annualmente pubblicata dal Ministero dell’Interno. Da qui emerge che, nel 2020, circa l’83% delle commissioni attive in Comuni sciolti per mafia ha dovuto adottare politiche di incremento delle entrate. Qualche esempio? Recupero dei debiti pregressi, aumento delle aliquote di Imu, Tasi e Tari e contribuzioni per i servizi a domanda individuale. Il tutto con l’obiettivo di risanare i conti. Quasi il 94% delle commissioni, invece, ha dovuto avviare una revisione complessiva dei regolamenti comunali, spesso mancanti o non aggiornati, soprattutto in settori sensibili come edilizia pubblica e privata, gestione dei beni demaniali, smaltimento dei rifiuti e diritto di accesso. Ancora, i commissari sono solitamente costretti a “ristrutturare” l’apparato burocratico dei Comuni sciolti sia per garantire la massima trasparenza dell’azione amministrativa sia per migliorare la qualità dei servizi: sempre nel 2020, in circa il 55% degli enti si è assistito alla sostituzione dei vertici amministrativi.
Certo è che, nei Comuni sciolti per mafia, ci si deve limitare all’ordinaria amministrazione. Quindi niente investimenti infrastrutturali, niente grandi eventi, niente iniziative culturali straordinarie. Non a caso Pierpaolo Zavettieri, sindaco del piccolo centro calabrese di Roghudi e attivista di Mezzogiorno in Movimento, ha recentemente stroncato le politiche commissariali: «Non c’è alcun Comune che, con una politica commissariale, sia progredito socialmente ed economicamente né sia stato bonificato dal punto di vista amministrativo».