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Sanità, «la carenza di personale impone scelte logistiche a tutela dei pazienti». L’intervista

«La grave carenza di personale medico non consente di rispettare spesso i requisiti minimi organizzativi. L’offerta, in questo momento, deve essere strutturata nel miglior modo possibile in termini di sicurezza per le madri e per i neonati, anche a scapito della comodità logistica». È quanto afferma Emilio Stola, direttore dell’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia…

«La grave carenza di personale medico non consente di rispettare spesso i requisiti minimi organizzativi. L’offerta, in questo momento, deve essere strutturata nel miglior modo possibile in termini di sicurezza per le madri e per i neonati, anche a scapito della comodità logistica». È quanto afferma Emilio Stola, direttore dell’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia di Taranto, commentando i dati che emergono dall’indagine condotta dalla piattaforma Micuro su dati del ministero della Salute.

Professore, la contrazione dei punti nascita è un dato preoccupante?
«Purtroppo è la naturale evoluzione quando la domanda di assistenza si riduce. Non servono tanti punti nascita ma punti nascita sicuri. I criteri di accreditamento sono stringenti. I requisiti strutturali, organizzativi e tecnologici hanno un costo per la collettività. Già nel 2010 il Ministero della Salute e le società scientifiche hanno condiviso che un punto nascita con pochi parti non rappresenti in termini di sicurezza la soluzione ideale sia per la madre che per il nascituro».

Come mai c’è stata questa diminuzione dei parti?
«È il risultato dell’importante cambiamento sociale verificatosi in questi anni: i giovani hanno modificato il modo di orientarsi nei confronti della costruzione di una famiglia. Meno famiglie, meno genitori, meno figli».

È cambiato l’approccio alla genitorialità?
«Sì, in più bisogna prendere consapevolezza del fatto che molte mamme si comportano da “equilibriste” tra il lavoro ed i carichi familiari. Le donne ormai scelgono la maternità sempre più tardi, con una età media al parto di 32,4 anni e fanno sempre meno figli, i numeri dicono 1,25 per donna. A tutte queste considerazioni va aggiunto anche il tema sociale: spesso si rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari oppure, al contrario, per poter lavorare sono costrette a rinunciare all’allattamento».

Perché accade questo?
«Tutti gli aspetti connessi alle difficoltà nel lavoro stabile o ad esempio al welfare sono strettamente correlati agli ostacoli che impediscono ai giovani una progettualità familiare e genitoriale concreta».

Ci sono soluzioni?
«Le istituzioni in generale hanno capito l’importanza del tema e si sono attivate nel costruire soluzioni e percorsi ad hoc. Per quanto riguarda noi specialisti stiamo cercando di recuperare un valore forse mai pienamente riconosciuto: il valore sociale della maternità, sia come esperienza formativa individuale sia come bene di tutti».

Questo tipo di consapevolezza come si concretizza?
«Informando i cittadini, attraverso un’attività formativa nelle scuole sul tema della fertilità, promuovendo interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell’apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale quindi operando attraverso un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società».

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