Non solo aziende, frequenze televisive e auto blindate. Nell’elenco dei beni sottoposti a sequestro giovedì mattina dagli investigatori della Squadra Mobile di Bari, su decreto della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Bari, nei confronti di 13 persone appartenenti ai clan Palermiti-Parisi, ci sono anche ville, segrete e di lusso, sulle quali hanno acceso un riflettore i collaboratori di giustizia.
C’è quella, nel territorio di Triggiano, ma poco distante dalla “residenza” del quartiere Japigia, dove Eugenio Palermiti teneva i summit mafiosi, di lusso e abusiva”, la cui esistenza è nota solo a pochissimi. Tra questi, però, c’era sfortunatamente anche l’ex fidatissimo Domenico Milella, oggi superpentito. Una villa circondata da alti muri, chiusa da un cancello e protetta da cani feroci. Dove Eugenio, racconta Milella, era solito incontrare i più stretti collaboratori, tanto da poterli contare sulle dita di una mano.
Ma non solo. Ci sono le due unità abitative in contrada Sant’Andrea, in via Morelli e Silvati, che Milella descrive come “la villa di Mino Fortunato”: un’unica struttura abitativa con autorimessa e corte antistante. Dalla ricostruzione degli investigatori della Squadra Mobile, è emerso poi che una delle due sezioni è dedicata al nucleo familiare di Mino Fortunato e l’altra a quello della consuocera Annamaria Sassanelli (la figlia di Fortunato ha sposato il figlio di Sassanelli).
«Le indagini connesse hanno fatto luce sull’esistenza di un pericoloso sodalizio criminale operante nell’area di Japigia, idnetificabile con il nome “clan Parisi” con al vertice l’indiscusso boss Savino Parisi – scrivono i pm antimafia Fabio Buquicchio, Marco D’Agostino e Federico Perrone Capano – L’indagine patrimoniale svolta su un gruppo di indagati ha messo in evidenza la spiccata tendenza a radicarsi nel tessuto economico dell’area di predominio criminale del clan, acquisendo in modo diretto o indiretto beni immobili e attività d’impresa che rispondono alla duplice esigenza di reinvestimento di capitali di origine delittuosa e della conseguente realizzazione di profitti apparentemente leciti e di consenso sociale».
Per gli inquirenti, l’allarme è davvero molto alto: «Tali condotte e l’occupazione di interi settori commerciali, oltre ad alterare il libero svolgersi delle attività economiche che risultano spontaneamente condizionate dalla presenza di soggetti dotati, direttamente o indirettamente di una condivisa fama criminale, provocano una evidente distorsione degli equilibri competitivi del mercato, costituendo elementi di pericolosità non inferiore alle attività criminali di tipo tradizionale, con tratti di disvalore ancora più allarmanti».