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Messaggi social dei clan? Un errore sottovalutarli

Prosegue l’analisi sul rapporto tra la camorra barese e i social network nel colloquio tra il professore Francesco Minervini e il criminologo Domenico Mortellaro. Attraverso questo ormai fondamentale canale di comunicazione, i malviventi veicolano messaggi, alimentano determinate narrazioni criminali e “celebrano” parenti o affiliati defunti o carcerati. E anche i familiari dei boss utilizzano i…

Prosegue l’analisi sul rapporto tra la camorra barese e i social network nel colloquio tra il professore Francesco Minervini e il criminologo Domenico Mortellaro. Attraverso questo ormai fondamentale canale di comunicazione, i malviventi veicolano messaggi, alimentano determinate narrazioni criminali e “celebrano” parenti o affiliati defunti o carcerati. E anche i familiari dei boss utilizzano i social network, magari per festeggiare compleanni, scarcerazioni o rinsaldare legami criminali.

Minervini: «Dopo gli ultimi aggiornamenti sul rapporto tra social e camorra barese torniamo a parlarne. Quel che preoccupa è che adesso, quelle stesse narrazioni mediatiche che la Camorra barese si assume con enfasi e visibilità e che prima potevano apparire innocue, in alcune circostanze si sono trasformate in tossiche, portatrici di morte o di messaggi di una violenza inimmaginabile».

Mortellaro: «Alcuni di quei profili social, prima utilizzati solo per diffondere messaggi generici, sono diventati strumenti per la programmatica diffusione di filosofie violente precise. Un caso su tutti quello che al San Paolo, due anni fa, vide esplodere e prendere piede tutta la mistica collegata alla figura di Emanuele Sibillo, alias ES17 (con un nomignolo che identifica le iniziali e il codice numerico della lettera alfabetica del suo cognome, la esse)».

Minervini: «Presenta meglio il caso….»

Mortellaro: «Sibillo era il capo della Paranza dei Bambini di Napoli, morto in un conflitto a fuoco a poco più di 18 anni dopo due stagioni feroci in cui fu necessario scomodare la parola terrorismo per definire l’approccio del suo gruppo alla vita camorristica. In una città già così spregiudicata, da sempre abituata a camminare su un pericoloso crinale, è decisamente il caso di mettere mano in modo cosciente a questioni simili».

Minervini: «La baby gang che diventa camorra professionale…»

Mortellaro: «Anche perché, e qui ricadiamo nella cronaca quasi istantanea dei giorni nostri, il numero di segnalazioni contro baby-gang che si comportano come strumenti propri dei clan si sta moltiplicando in modo inquietante. Segno certificato che determinati messaggi, tristemente sottovalutati, sono di sicuro arrivati ai destinatari».

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