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Disoccupati? Su Neet e Its serve più coraggio

Ma come? Non doveva essere l’anno del precariato? Possibile che, in Italia, l’occupazione aumenti a dispetto dell’economia in stagnazione? Molti hanno accolto con scetticismo i dati che testimoniano la crescita dei posti di lavoro registrata nel terzo trimestre del 2023.

Secondo l’Istat, le posizioni dipendenti aumentano dello 0,6%, con una crescita più marcata per quelle a tempo pieno (0,7%) rispetto a quelle part-time (+0,3). E anche la crescita tendenziale, pari al +2,7%, è più intensa tra i full-time (+3,1%) rispetto ai part-time (+1,6%).

Un quadro tutto rose e fiori, dunque? Certo che no. Un dato negativo c’è ed è lo scarso aumento dell’occupazione tra i giovani. Segno che le politiche finora messe in campo per questi ultimi hanno fallito.

Molti addetti ai lavori hanno focalizzato l’attenzione sui pensionamenti. L’aumento dell’occupazione sarebbe dovuto, più che a nuove assunzioni, alla mancata abolizione della legge Fornero, quindi al mancato pensionamento di migliaia di persone. L’osservazione non coglie nel segno, se si pensa che i mancati flussi verso le pensioni sono più bassi rispetto alla crescita occupazionale.

Altri, invece, ritengono che il numero dei lavoratori non possa aumentare del 2% con un pil, come quello attuale, quasi piatto. Ma pure questa affermazione può essere smentita, visto che gli andamenti dell’occupazione seguono quelli dell’autonomia con un certo ritardo.

Resta da capire, piuttosto, perché non ci sia un forte aumento della quota di giovani che lavorano in un momento in cui le imprese sono alla ricerca di personale. La prima causa è la differenza, ancora troppo forte, tra i profili chiesti dalle imprese e quelli offerti dal sistema educativo nazionale: il famigerato mismatch, problema che non si risolve se non con una radicale riforma del sistema dell’istruzione.

Per i giovani italiani manca un’opzione professionalizzante di alto livello come le Fachhochschule tedesche, istituti di livello paragonabile a università o politecnici dove si formano individui con capacità specifiche che rispondono alle esigenze delle imprese. L’unico tentativo di emularle è stato quello degli Istituti di istruzione e formazione tecnica superiore (Its e Ifts) che però, come sottolineato in uno studio condotto dall’Università Cattolica, sono pensati per arricchire la qualificazione degli studenti della scuola secondaria e non permettono di conseguire un titolo di istruzione di livello terziario. Il passo in avanti compiuto in questo senso in Italia è stata l’istituzione del sistema terziario di istruzione tecnologica superiore, di cui gli Its fanno parte con la nuova denominazione di Istituti tecnologici superiori.

La riforma punta a promuovere l’occupazione giovanile tramite la copertura di figure richieste dall’industria, che però avrebbero anche conoscenze tecniche specifiche e sarebbero così in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo dell’economia.

Il Pnrr destina alle Its Academy 1,5 miliardi di euro: le risorse ci sono, ora bisogna accelerare sulla riforma. Quest’ultima non può essere disgiunta, però, da investimenti più coraggiosi ed equi per il contrasto del fenomeno dei neet, cioè dei giovani al di fuori di qualsiasi percorso formativo o lavorativo.

Nel 2023 il governo Meloni ha stanziato 85,7 milioni di fondi europei grazie ai quali le imprese che assumono neet meno di 30 anni si sono viste “rimborsato” il 60% della retribuzione mensile lorda per un massimo di 12 mesi. Già abbiamo avuto modo di sottolineare i limiti di questa misura che non era strutturale e non agiva sulle complessive condizioni di vita dei giovani.

Cosa ancora più grave, Palazzo Chigi ha ripartito gli 85,7 milioni sulla base delle assunzioni previste per ciascun territorio, con la conseguenza che il grosso dei fondi è andato alle Regioni settentrionali dove il numero di neet è più basso rispetto al quelle meridionali. Alla Puglia, dove sono addirittura 200mila i giovani che non lavorano né studiano, sono andati quattro milioni, che non sono pochi in assoluto ma lo diventano se rapportati ai 24 riservati alla Lombardia. È il caso, dunque, di rivedere requisiti di assegnazione e criteri di distribuzione dei fondi, ma anche di integrare certe misure con corsi di formazione ad hoc, sportelli del lavoro “rafforzati”, incentivi ad attività di orientamento e formazione dei giovani. Sempre che non si voglia continuare a tenere migliaia di under 35 a spasso, soprattutto al Sud.

Raffaele Tovino è dg di Anap

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