“Dai nostri compari dell’Ipm Fornelli”. Occhi di sfida, cap con la visiera, in posa sullo sfondo delle sbarre. Frame in sequenza con la base musicale di un noto rapper italo francese.
Sono i tre giovanissimi protagonisti di un video postato su TikTok da tre “ospiti” dell’Istituto per minori Fornelli di Bari. “Foto esclusive Ipm, telefoni in tutti i Ipm di Italia” recita la didascalia del video, mentre in sottofondo Nabi canta in loup: “Nei pezzi dici che spari, vieni e spara. Ho fatto come i miei grandi, ho dato la bamba”. Gli hashtag invocano l’indulto mentre il video, lanciato sul social a dicembre scorso, raccoglie quasi 1000 like e viene condiviso più e più volte.
La vita, all’interno del minorile, ha dinamiche proprie, completamente differente da quelle della vicina casa circondariale per adulti. Sono consentiti i telefoni, e anche quando non è permesso, ne vengono scoperti e sequestrati. Sono consentiti dalla pandemia in poi (il Dap ne ha prorogato l’utilizzo anche dopo la fine dell’emergenza), dettati dalla necessità di interagire con le famiglie, che spesso scattano screenshot per tenerli più vicini.
Non si sta così male nella struttura di via Giulio Petroni: le condizioni dell’immobile sono buone (oro rispetto al vicino carcere per adulti), gli arredi sono decorosi, articolate le attività trattamentali, tra scuola e laboratori, grazie anche all’impegno del direttore Nicola Petruzzelli, da anni in prima linea. E alle risorse per questo capitolo stanziate dal ministero della Giustizia.
Ma il tema, in realtà, è un altro: il disinteresse da parte delle istituzioni, desumibile da alcuni innegabili questioni. L’assenza da incontri sul tema, come l’ultimo convegno settoriale, ma anche e soprattutto dalla mancanza di investimento sulle due direttive del recupero sociale: la formazione e l’istruzione di base. I due pilastri su cui si fonda il reinserimento lavorativo, e quindi sociale, del minore una volta lasciato il Fornelli, fondano su un terreno instabile.
La formazione specialistica, innanzitutto, la possibilità di imparare un mestiere spendibile “fuori”, che al momento viene delegata all’iniziativa isolata di cooperative come “Made in carcere” che da anni porta avanti il laboratorio di biscotti, le “Scappatelle”, ma che non sempre sono fruibili per la mancanza di personale della polizia penitenziaria. Se, in sostanza, non ci sono agenti sufficienti, i ragazzi non possono scendere in aula e il laboratorio salta.
O come la “fungaia” allestita dalla cooperativa sociale di produzione e lavoro “Semi di vita”, sotto l’occhio infaticabile di Angelo Santoro: una serra di 400 metri quadri con altri 70 di confezionamento. Poi due anni fa il ministero della Giustizia ha stanziato altri 35mila euro per un essiccatore professionale e i prodotti vengono venduti attraverso i Gas, i Gruppi solidali.
Ma il silenzio delle istituzioni sta negli ultimi cinque anni di totale assenza di corsi di formazione, così come negli occhi tenuti chiusi sul recupero sociale. Il Programma operativo regionale 2014-2020, ad esempio, ha finanziato “ occasioni di sviluppo sociale, lavorativo, imprenditoriale, culturale, tecnologico, scientifico, ambientale e infrastrutturale, ponendo particolare attenzione all’inclusione sociale di tutti i cittadini e le cittadine”. Una serie di risorse vincolate sull’asse dello svantaggio, ma nelle pieghe del finanziamento qualcosa deve essere andata storta, perché l’istituto Fornelli non era tra i destinatari.