L’otto gennaio Giorgia Meloni incontrerà i vertici di Mittal per discutere l’eventuale interruzione consensuale del rapporto che lega il Governo italiano al gruppo francoindiano nella gestione di Acciaierie d’Italia. È questa la novità più significativa emersa ieri dall’incontro tra alcuni ministri e i sindacati. Un faccia a faccia quello che vedrà protagonista la presidente del Consiglio dettato soprattutto dalla volontà di evitare penali e contenziosi internazionali che possano ulteriormente allungare i tempi di rilancio di Acciaierie.
In quella occasione verranno chieste precise garanzie su investimenti, livelli di produzione, sicurezza dei lavoratori, salvaguardia degli impianti e tutela ambientale. Subito dopo, il 9 o il 10, il Governo si è impegnato a convocare nuovamente i rappresentanti dei lavoratori. All’incontro di ieri, oltre i delegati di Cgil, Cisl, Uil e Usb, hanno preso parte i quattro componenti del Governo che hanno in mano il delicato dossier del siderurgico di Taranto: il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il ministro del Sud Raffaele Fitto, la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone collegata in videoconferenza e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
Qualora venisse confermato, anche dopo l’incontro dell’8 gennaio, il passo indietro del gruppo francoindiano, il governo dovrà decidere quali mosse mettere in campo. «Il piano industriale prevede un supporto finanziario da parte dei soci per almeno un miliardo e 300 milioni per esigenze legate alla produzione e anche per acquisizione degli impianti, se il socio di maggioranza non risponderà a questa richiesta il governo ne prenderà atto e prenderà i suoi provvedimenti», ha affermato Adolfo Urso. «L’intenzione è quella di mantenere la produzione siderurgica a Taranto anzi rilanciarla in una fase di riconversione green. Quello che conta è che ci siamo le risorse necessarie, 1,3 miliardi per garantire un futuro produttivo all’impresa e quindi ai lavoratori di Taranto. Quello è il limite oltre il quale non si può andare», ha sottolineato il ministro.
Sarebbero due, in sintesi, le ipotesi che rimarrebbero sul tavolo: portare Invitalia, il socio pubblico, in una posizione di maggioranza delle quote societarie per poi trovare nuovi soci privati con cui rilanciare il futuro della fabbrica oppure nominare un amministratore straordinario. Una ipotesi quest’ultima fortemente osteggiata dai rappresentanti dei lavoratori che da tempo chiedono, invece, di percorrere la prima strada. Da parte dei sindacati quella di ieri viene considerata come un’altra giornata senza risposte adeguate da parte del Governo. «Peggio di così non poteva andare, nel senso che siamo venuti per poter ascoltare quali dovevano essere le soluzioni per una situazione che dura ormai da diversi anni e che negli ultimi mesi è diventata drammatica” ma “soluzioni non ce ne sono state», ha affermato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.
«Hanno continuato a dire che non c’è stata la possibilità di incontrare i vertici di Mittal ma nel frattempo abbiamo avuto la certezza che non c’è una posizione forte e stabile nei confronti di un gruppo industriale che continua a fare quello che vuole». Per la Fioma si è giunti all’atto finale. «Il tempo che il Governo sta dedicando ai buoni rapporti con la multinazionale, è tempo che sta aggravando la situazione dei lavoratori, degli impianti e delle città», affermano Michele De Palma e Loris Scarpa, rispettivamente segretario generale e responsabile siderurgia della Fiom. «Dopo il prossimo incontro, valuteremo insieme alle altre organizzazioni sindacali tutti gli strumenti sindacali e legali per tutelare gli interessi dei lavoratori, degli impianti e del Paese», concludono i due sindacalisti.
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Di Redazione7 Novembre 2024