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Riforma del tributario: il rischio di incrementare i contenziosi in appello

Il percorso della riforma prende slancio dopo l’approvazione in via preliminare, da parte del Consiglio dei Ministri, della bozza di decreto delegato in attuazione della Legge n. 111/2023 che ha ad oggetto la revisione del contenzioso tributario (D.lgs. n. 546/1992). Le modifiche introdotte dal Mef non hanno tuttavia incontrato il favore dell’avvocatura specialistica e dei…

Il percorso della riforma prende slancio dopo l’approvazione in via preliminare, da parte del Consiglio dei Ministri, della bozza di decreto delegato in attuazione della Legge n. 111/2023 che ha ad oggetto la revisione del contenzioso tributario (D.lgs. n. 546/1992).

Le modifiche introdotte dal Mef non hanno tuttavia incontrato il favore dell’avvocatura specialistica e dei commercialisti, i quali hanno subito segnalato le criticità emerse dopo la pubblicazione del testo e proposto le proprie soluzioni tecniche.

I punti controversi impattano sulla disciplina del processo tributario e spaziano dalla previsione di un modello di decisione della controversia mediante sentenza resa “in forma semplificata”, anche per la decisione della domanda cautelare, alla possibilità per il giudice di “compensare” le spese di lite in caso di vittoria del contribuente, sino all’introduzione di nuovi divieti probatori in appello.

L’eventuale approvazione dei predetti emendamenti rischierebbe però di mancare gli obiettivi fissati dalla legge delega e andrebbe ad intaccare i principi del giusto processo e della parità delle armi che governato il giudizio tributario, piuttosto che ad implementare le garanzie di tutela delle parti processuali e del loro diritto di difesa. In particolare, la disposizione di cui all’articolo 34-bis, che permetterebbe al giudice di decidere con una sentenza in forma semplificata in tutti i casi di “manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”, contiene espressioni tautologiche ed è foriera di motivazione apparente che, verosimilmente, determinerà un incremento dei contenziosi in appello.

Senza contare che già oggi esiste una soluzione in caso di manifesta inammissibilità del ricorso ed è il giudizio filtro del presidente del collegio (art. 27, D.lgs. cit.); inoltre, in caso di manifesta fondatezza il giudice ben può accogliere il motivo (anche quello più liquido), ritenendo assorbiti gli altri.

Parimenti, la previsione contenuta nell’articolo 47-ter della bozza di decreto delegato, che consentirebbe al collegio “in sede di decisione della domanda cautelare” di definire il giudizio con sentenza semplificata, “salvo che una delle parti dichiari di voler proporre motivi aggiunti ovvero regolamento di giurisdizione”, non appare coerente con l’intera disciplina del processo tributario né rispettosa del canone costituzionale del giusto processo oltre che del diritto di difesa.

La norma rappresenta, infatti, una mera trasposizione dell’articolo 60 del Codice del processo amministrativo (D.lgs. 104/2010) in cui, tuttavia, la fase cautelare è puntualmente regolamentata, pertanto, non sembra potersi adattare al processo tributario, almeno nel suo attuale layout.

Allo stesso tempo, appare censurabile il riferimento ai motivi aggiunti, atteso che nel processo tributario questi sono consentiti soltanto in seguito all’eventuale costituzione della parte resistente, che in sede cautelare potrebbe non avvenire soprattutto qualora l’udienza si celebrasse prima della scadenza dei relativi termini di decadenza. Si auspica, pertanto, che gli apporti fattivi del mondo delle professioni possano trovare il giusto riconoscimento e giocare un ruolo fondamentale nel delineare l’assetto dei provvedimenti delegati di attuazione della riforma del processo tributario.

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