Risale la “febbre” in casa Bari. Tuttavia, dopo il pesantissimo passivo incassato al San Nicola contro il Venezia, il primo dell’era Marino, la sensazione è che il “paziente” biancorosso sia rimasto convalescente durante tutti i 45 giorni della nuova gestione tecnica, nonostante le vittorie consecutive conquistate con Brescia e Ascoli; due successi espressione di una “guarigione” soltanto effimera e peraltro maturati soprattutto grazie agli spunti individuali in ripartenza di Sibilli e Diaw. Gol alla “vecchia” maniera, figli di un Bari del quale ormai si sono perse le tracce e che alimenta i rimpianti di ciò che sarebbe potuto essere e che invece è stato distrutto. La decima posizione in classifica e la media nelle ultime 5 gare di 1,6 punti rispecchiano fedelmente i valori di una squadra che oggi appare ben lontana non solo dalle candidate alla promozione diretta, ma anche dalle compagini in lizza per le posizioni di vertice in griglia playoff.
Dov’è il calcio di Marino? I 90 minuti del match contro il Venezia hanno confermato ancora una volta gli evidenti limiti dei biancorossi sul piano del gioco e della personalità. Primo tempo condotto con il solito atteggiamento compassato, a tratti in modo sconcertante, sotto i colpi e la solida organizzazione degli ospiti; ripresa caratterizzata da una ventina di minuti interpretati in modo più volitivo, ma senza mai dare il sentore di poter costruire veri pericoli per la porta di Bertinato. La contingenza delle assenze e degli infortuni a gara in corso non può rappresentare un alibi sufficiente a giustificare un tale gap tecnico tra le due formazioni, che sembravano essere iscritte a due categorie ben distanti tra loro. Senza contare i forfait di Pohjanpalo e Bjarkason nelle file dei veneti, che certamente avevano indebolito, si fa per dire, il potenziale dei lagunari. «Siamo stati in partita fino alla fine, è stata una gara equilibrata, ha dichiarato al termine della contesa mister Marino. Parole che suscitano perplessità, non confutando la sensazione invece cristallina di un Bari mai davvero capace di prendere in mano le redini del match e di pungere gli avversari, se non in modo estemporaneo o per mezzo di fiammate individuali. A preoccupare sono la costante impasse nella produzione offensiva, limite che ha accompagnato Mignani e che si sta confermando con Marino, e la mancata applicazione dei principi di gioco del tecnico siciliano. «Aggressività, intensità, possesso palla e baricentro alto» restano solo teoria di fronte ad una pratica che si mostra pericolosamente in linea con il trend all’insegna della mediocrità portato avanti in tutta la stagione.
A caccia di identità. Al momento l’anima del Bari può contare su pochissime certezze: la verve di Sibilli, l’unico davvero capace di dare spiragli di luce in attacco, e il carisma di pochi altri, come Di Cesare, Vicari e, solo a tratti, Ricci e Dorval. Gli ultimi 180 minuti hanno fortemente messo in discussione anche l’assetto varato dalla partita di Brescia. Se il blackout subìto con la Feralpisalò si poteva configurare come un incidente di percorso (nel nuovo corso di Marino), la gara con il Venezia ha alimentato i dubbi sulla tenuta mentale della squadra e sulla compatibilità del modulo (3-4-1-2/3-5-2) rispetto alle caratteristiche dei calciatori a disposizione. Senza considerare che in molti casi bisogna fare i conti con una condizione fisica, e non solo, alquanto deficitaria. Aramu ha sprecato la chance concessa a sorpresa per effetto dell’infortunio accusato da Diaw nel riscaldamento pre partita. In campo per un tempo, prima di essere sostituito da Achik, l’ex Venezia si è reso protagonista di una prova ancora una volta sotto tono, girando spesso a vuoto, senza incidere. Il gol sfiorato nella prima frazione, con una conclusione finita di poco a lato della porta veneta, è un piccolo lampo nel buio di due mesi in biancorosso vissuti finora in salita. Intanto salgono a 8 le gare consecutive guardate dalla panchina da Edjouma. Di fatto il franco marocchino occupa un posto in lista over e nel monte ingaggi senza avere l’onere e le responsabilità del campo. Davvero opaca anche la prestazione di Benali nel ruolo di centrocampista centrale. Ma che il libico non fosse l’uomo ideale per fare le veci di Maiello al centro della mediana era sembrato già abbastanza chiaro sin dallo scorso anno.
Il passivo sale. Questione di equilibrio, tornato ad essere precario: tre gol subiti nelle prime tre gare della gestione Marino; 6 invece nelle ultime due partite. Un dato che testimonia la fragilità sul piano tattico, tecnico e psicologico del Bari. La svolta per ora resta davvero lontana.