(Adnkronos) – “Si va affermando nel mondo una destra che non ci era mai stata, fin qui, troppo familiare. La destra estrema di Trump, anni fa negli Usa. Poi quella, assai simile, di Bolsonaro in Brasile. Poi ancora, in questi giorni, quella di Milei in Argentina. E da ultimo quella di Wilders in Olanda. E’ la progressiva radicalizzazione di un sentimento conservatore che diventa via via più aggressivo, spavaldo, intollerante. In una parola estremo.
Nulla a che vedere con le nobili tradizioni di Churchill e del generale De Gaulle. E neppure con la svolta che negli anni ottanta Reagan e la Thatcher impressero a un occidente che era quasi sempre stato prudentemente centrista. Fin lì la destra era stata a sua volta liberale, liberista, antistatalista. Ma la misura del suo dissenso, della sua distanza dal modello sociale che aveva preso forma dopo la guerra, era sempre rimasta nei limiti di una dialettica giocata tra forze che volevano essere ostili ma non troppo.
Ora quello schema sembra essersi rotto. La nuova destra che ha preso ad affermarsi da qualche anno a questa parte si è andata infatti radicalizzando, fin quasi ad assumere tratti, chiamiamoli così, ‘rivoluzionari’. Dapprima la vittoria di Trump e della Brexit. Poi un progressivo impennarsi di aggressività fino a scalare le vette dell’eversione. L’assalto dei repubblicani a Capitol Hill. L’imitazione dei seguaci di Bolsonaro al parlamento di Brasilia. E la settimana scorsa l’affermazione del candidato che brandisce la motosega a Buenos Aires. Un fitto calendario di gesti, proclami, pronunciamenti che sembrano annunciare scenari sempre più bellicosi, tali da spezzare quella trama di reciproci riconoscimenti su cui le democrazie si fondano da che mondo e mondo.
Ora questa spinta sembra poter penetrare per la prima volta nel cuore della cittadella europea. La vittoria di Wilders in Olanda annuncia infatti la possibilità di un governo anti- Ue in uno dei paesi fondatori. Certo, c’è sempre la possibilità che non trovi i voti per fare maggioranza in Parlamento. E forse perfino la possibilità che cambi idea in corso d’opera. Ma non andrebbe sottovalutato il fatto che il suo partito abbia vinto adombrando l’eventualità di un referendum contro la permanenza del paese nel contesto europeo. Anche solo il parlarne fa capire che il Rubicone potrebbe essere attraversato, più prima che poi.
Le democrazie occidentali sono sempre state luoghi assai civili. Luoghi nei quali la disputa politica, per quanto accesa, non metteva quasi mai in discussione alcuni presupposti comuni. E il cosiddetto mainstream, quel diffuso sentimento di buonsenso largamente unitario, improntava la disputa politica raffreddandone certi ardori troppo minacciosi.
In questo contesto lo spazio per le posizioni più estreme, quasi eversive dell’ordine costituito, era ridotto ai minimi termini. C’erano frange, a sinistra e a destra, che coltivavano argomenti e visioni agli antipodi, questo sì. Ma poi prendeva quasi sempre il sopravvento quel comune sentire che riportava il conflitto dentro il suo alveo naturale. Edulcorandolo, senza spegnerlo.
Ora questo sapiente gioco di equilibri viene messo in forse. E riprende vigore un’idea della politica assai muscolare e fin troppo combattiva. Un’idea che appare più forte sulla destra che sulla sinistra, ma che assai probabilmente finirà per contagiare un po’ tutti. Conseguenza del populismo, si dirà. Ma anche forse di uno smarrimento che attraversa le grandi democrazie occidentali alle prese con uno scenario di declino. E che costringe un po’ tutti -destre, sinistre e ipotetici centri- a ripensare se stessi in una chiave non troppo nostalgica. E’ ovvio che anche Meloni si troverà davanti a questo bivio. E farà una bella differenza da che parte infine deciderà di attraversarlo”. (di Marco Follini)