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Bari, l’urlo della piazza contro la violenza sulle donne: «Adesso basta»

«Donna come un mazzo di fiori/Quando è sola ti fanno fuori/Donna, cosa succederà/Quando a casa non tornerai?». Sono passati quasi cinquant’anni dall’uscita di “Tu No”, brano di Mia Martini, e, si direbbe, nulla è cambiato. Perché un’altra donna non è tornata a casa, ancora una volta. È Giulia Cecchettin, la studentessa di 22 anni brutalmente…

«Donna come un mazzo di fiori/Quando è sola ti fanno fuori/Donna, cosa succederà/Quando a casa non tornerai?». Sono passati quasi cinquant’anni dall’uscita di “Tu No”, brano di Mia Martini, e, si direbbe, nulla è cambiato. Perché un’altra donna non è tornata a casa, ancora una volta. È Giulia Cecchettin, la studentessa di 22 anni brutalmente assassinata, ipotizzano gli inquirenti, dal suo ex fidanzato. Ed è per ricordare lei, le 105 donne uccise dall’inizio dell’anno, e tutte quelle che hanno perso la vita ferite a morte dalla brutalità maschile che ieri un gruppo di attivisti si è ritrovato in piazza del Redentore, a Libertà, in un flash mob fatto di rabbia, dolore, di «Lo sapevamo già». Ma anche di volontà di cooperare, di cucire le ferite e di sete di giustizia che, a ben vedere, non conosce genere.

Una lenta musica di pianoforte accompagna un gruppo di donne vestite a lutto, con la bocca bendata da un foulard rosso. Si sistemano, equidistante, sulla gradinata della parrocchia. Ad attenderle trovano un paio di scarpe rosse, con della vernice rossa spruzzata attorno, il simbolo che in questi anni ha accompagnato la lotta alla violenza di genere. Poco più avanti, si alternano gli interventi di tre artisti, l’attore Dante Marmone, l’attrice Rosa Gatti e il soprano Giulia Calfapietro. Recitano tre parti diverse di un copione che si ripete sempre identico. Le due artiste incarnano la figura di una donna che subisce violenza psicologica e fisica. Come un cancro, essa si impadronisce di loro e le lega, facendole sentire impotenti. Marmone, invece, rappresenta il marito violento. «Mi ricordo che scagliai il cellulare così forte contro il muro, poi mi successe che me la sono presa con lei, schiaffi pesanti, e ha deciso di lasciarmi. Poi però le chiesi scusa. Lei mi ha perdonato e ci siamo rimessi insieme. Le promisi che non sarebbe mai successo, ma poi successe di nuovo».

È un copione, però, che ha un felice epilogo. La donna si rivolge ad un centro anti violenza, uscendo dal tunnel della crudeltà. Lui intraprende un percorso terapeutico. «Mi hanno aiutato a riflettere e a cambiare», recitano le ultime battute di Marmone. E il flash mob si conclude con l’entrata in scena di un gruppo di uomini, che con delicatezza sfilano i foulard dalla bocca delle donne. Ma la pièce della vita, quella vera, va avanti, e i foulard, quelli invisibili e quelli visibili, esistono eccome. E i sipari sulle violenze non possono calare. Mai.

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