A metà della prossima settimana sono attese novità sulla crisi dell’ex Ilva, il gruppo siderurgico più grande d’Europa attualmente gestito in affitto da Acciaierie d’Italia, società mista pubblico-privata. A Milano si riunirà l’assemblea della società per «assumere importanti decisioni sul futuro del gruppo siderurgico».
In concomitanza le sigle metalmeccaniche Fim, Fiom e Uilm organizzeranno un presidio di protesta. «Saremo in strada contro la sciagurata gestione industriale del management espressione di Arcelor Mittal e la totale incapacità del Governo di assicurare una prospettiva positiva alla vertenza», dicono i sindacati che da tempo chiedono un cambio di passo nella governance, verso la transizione energetica e ambientale, per salvare lo stabilimento che è continuamente a corto di risorse economiche.
Intanto a Taranto ieri si è svolto il workshop sulla decarbonizzazione con varie università. Secondo i relatori, il percorso di decarbonizzazione dell’industria siderurgica primaria è stato avviato e potrà vedere i primi risultati nell’arco di 2-3 anni, con un orizzonte conclusivo di 10-20 anni nel corso dei quali saranno da risolvere diverse complessità.
Tra queste, lo sviluppo di nuove fonti energetiche pulite, in particolare l’idrogeno verde. Durante l’incontro, l’amministratrice delegata di Acciaierie Lucia Morselli non ha mancato di lanciare un paio di “bombe”, sentenziando che lo Stato deve intervenire nella decarbonizzazione e che non crede all’Europa.
«Ci sono dei Paesi, Francia e Germania, che stanno dando risposte alla mia domanda: chi paga il conto? In questi Paesi – ha rilevato Morselli – non è una risposta definitiva ma ci sono delle indicazioni abbastanza precise su chi pagherà il conto. Dobbiamo fare lo stesso. Io non credo molto all’Europa, anche perché non si vede. O perlomeno non la vedo e non riesco a crederci. Se c’è, ci dica qualcosa. Per ora non ci ha detto niente. Anche l’Italia deve fare il suo ruolo, altrimenti le decarbonizzazioni si fanno scientificamente perfette ma sono piccole, piccole».
Il rischio, ha fatto intendere l’amministratrice delegata, è che un processo così lungo e costoso di rivoluzione degli impianti, partorisca un topolino, mini impianti da mezzo milione di tonnellate di produzione di acciaio all’anno. «Noi abbiamo l’obiettivo di arrivare a due milioni. Ma temo che si arrivi poi lì e basta – ha proseguito Morselli a proposito dei due milioni di tonnellate di acciaio decarbonizzato che l’ex Ilva dovrà fare in futuro – perché se questi due milioni non dovessero ripagarsi, il processo finale di conversione all’idrogeno, quello del 2050, potrebbe avere qualche problema».
Resta irrisolto, per Morselli, il problema del finanziamento. «Quando si fanno queste rivoluzioni, bisogna che queste siano volute e sostenute dalle grandi istituzioni».