Sono diventate definitive le sentenze di condanna della Corte d’Appello di Bari a carico di 33 indagati nel maxi processo “Pandora” nei confronti dei quali i carabinieri del Ros stanno eseguendo ordini di carcerazione emessi dalla procura generale di Bari.
Le persone condannate, appartenenti ai clan Mercante-Diomede e Capriati attivi a Bari e nella provincia Bat, devono espiare complessivamente 222 anni di reclusione.
Gli ordini di carcerazione sono stati eseguiti nei confronti di Gioacchino Baldassarre (43 anni), Vincenzo Baldassarre (35 anni), Saverio Belviso (50 anni), Michael Bottone (30 anni), Giuseppe Rocco Cassano (45 anni), Alessandro Corda (34 anni), Roberto Cutrignelli (44 anni), Nicola D’Amore (54 anni), Alessandro De Bernardis (54 anni), Alessandro D’Elia (33 anni), Silvio De Fano (57 anni), Domenico De Feudis (37 anni), Umberto De Meo (32 anni), Salvatore Dicataldo (40 anni), Giuseppe Diomede (54 anni), Nicola Diomede (56 anni), Alessandro Frisari (39 anni), Stefano Grande (27 anni), Giovanni Battista La Notte (49 anni), Umberto Lorusso (45 anni), Riccardo Lucchesi (42 anni), Marsiglio Magrone (43 anni), Michele Mallardi (48 anni), Michele Migliaccio (47 anni), Francesco Cosimo Natilla (43 anni), Francesco Ranieri (47 anni), Francesco Rizzi (42 anni), Francesco Ronchi (42 anni), Vincenzo Sassanelli (46 anni), Giovanni Scotella (42 anni), Giovanni Stellacci (35 anni), Giovanni Tritto (33 anni) e Francesco Volpe (52 anni).
Gli imputati nel processo “Pandora” erano accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa pluriaggravata, tentati omicidi, armi, rapine, furti, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale.
Il 10 ottobre scorso la Cassazione ha riconosciuto la complessiva correttezza delle sentenze di primo e secondo grado del Tribunale di Bari e della Corte d’Appello e ha respinto i motivi dei ricorsi, tra cui quelli relativi al collegamento tra i sodalizi criminali e alcuni reati commessi da esponenti del clan Capriati nei confronti di membri del clan Strisciuglio di Bari.
La Cassazione ha confermato le due sentenze anche nella parte in cui avevano ritenuto che il clan Capriati, nell’arco di un’attività ultradecennale, si è caratterizzato in un articolato programma criminoso, sviluppando la selezione e il reclutamento in carcere e proiettandosi verso il nord Barese e la provincia Bat.
Sette dei condannati per mafia operavano infatti tra le città di Trani, Corato e Terlizzi.
L’ufficio esecuzioni penali della procura generale ha anche chiesto per 26 condannati la revoca dei benefici che erano stati concessi (liberazione anticipata, indulto e sospensioni condizionali).