Nichi Vendola, classe ‘58, di Terlizzi, ha un grande dono: l’uso delle parole. Le sa scegliere, mettere in fila, intrecciare, restituire loro senso; esprimerle con un’eleganza e un’onestà intellettuale e umana preziosa e rara, perché mai fine a sé stessa, ma atta a una rappresentazione della realtà capace di far breccia, ispirare, far riflettere, emozionare. Partecipare, agire. Un dono ultimamente elargito con parsimonia sulla scena politica, ma che ha indirizzato alla creazione di un monologo: “Quanto resta della notte” – Parole, versi e suoni in cerca di un giorno nuovo, che andrà in scena in prima nazionale al Teatro Piccinni di Bari domenica 27 febbraio (tutto esaurito da qualche giorno). Di e con Nichi Vendola, musiche di Populous, videomaking di Mario Amura, luci di Stefano Limone, montaggi di Sasha Mannish, suoni di Fabio Cinicola, assistente alla regia Elena Serra, con la collaborazione di Valter Malosti e di Libreria Laterza. Notte, contagio, rimozione, strappo, sconfitta, perdita, ritorno, amore. Queste le otto parole che ha scelto come incipit degli gli otto capitoli del suo monologo, in cui affronta i temi del nostro tempo, della pandemia, dei rumori di guerra che tornano, dei fatti di cronaca e politica che hanno turbato il nostro recente quotidiano con domande irrisolte di cui rintraccia le possibili risposte nella poesia.
Nichi Vendola, quella che stiamo vivendo è una notte di smarrimento e incertezze, lei come la affronta?
«La notte è buio. Per esempio, il buio che minaccia le nostre città come conseguenza della crisi energetica. Ma anche il buio della ragione che ritroviamo, accecante, in tutte le forme di fanatismo, di superstizione, di fondamentalismo. Il buio allude al male e alla paura del male. Ricordo la celebre espressione di Eduardo De Filippo: “Adda passà ‘a nuttata!”, per indicare proprio la speranza di una liberazione da qualcosa di opprimente: ‘a nuttata’ può essere la guerra, la dittatura, la miseria. Può essere la perdita dei punti di riferimento, il ritrovarsi senza bussola nella vita privata come nella vita pubblica. Io ho affrontato la notte del dolore, molte notti di molti dolori, scrivendo, mettendo in versi i miei sentimenti, e stringendomi sempre più alle persone che amo».
Come si esce dal buio “della cultura dello stupro e del femminicidio, del potere maschile e della sua vocazione all’onnipotenza?” che cita nel capitolo della “rimozione”?
«Non basta il Codice Penale, che sanziona i reati con pene che non hanno alcuna efficacia come deterrenti. Occorre intervenire sul codice culturale, quello della nostra vita individuale e collettiva: occorre bonificare il nostro vocabolario, il nostro immaginario, occorre modificare la qualità delle relazioni tra i sessi, occorre far scendere il genere maschile dall’Olimpo di quella crudele e grottesca onnipotenza con cui vorrebbe continuare a dominare tutto e tutti».
Il tema della miseria delle parole della politica che affronta nel monologo, in un’epoca in cui studenti e studentesse si ribellano alla prova scritta agli esami di maturità, non rischia ormai di essere (tristemente) fuori moda?
«La povertà delle parole della politica è disarmante: è una politica tanto rumorosa quanto inconcludente, tanto invasiva quanto impotente. Oggi la politica dovrebbe interrogarsi con serietà sul disagio degli adolescenti e sul disagio strutturale della scuola. Le giovani generazioni non hanno bisogno di coccole giovanilistiche e non meritano manganellate gratuite: il minimo sindacale, per il mondo degli adulti e per le istituzioni, sarebbe imparare ad ascoltarle».
Il “giorno nuovo” che auspica, che colori ha?
«Per me è facile risponderle con l’immagine dell’arcobaleno, che simboleggia la ricchezza dei colori dell’umanità. Tanti colori, infiniti colori, che possono cogliere la diversità e l’unicità di ogni persona, e che possono educarci al molteplice della vita: noi non abitiamo un universo, abitiamo un multiverso! Tra l’altro la bandiera arcobaleno sventola nelle manifestazioni per la pace ma è anche il vessillo del movimento Lgbt».
E il “ritorno” cui fa riferimento potrà essere anche il suo in politica?
«La poesia, il teatro, la musica, la cura delle parole e del loro senso, la ricerca della bellezza (la bellezza intesa come cognizione del bene comune, tutela della dignità, coltivazione della memoria, condivisione di un destino comune): questo è per me fare politica».
Dopo la prima al Piccinni?
«Sarò sicuramente a Ostuni l’1 aprile e a Lecce il 14. Ma il programma del tour è ancora in costruzione».