(Adnkronos) – Gli Stati Uniti si stanno preparando ad uno scenario da incubo: la fuga di centinaia di migliaia di americani che vivono in Medio Oriente nel caso che il conflitto a Gaza dovesse allargarsi. Di fronte ai preparativi di Israele, sostenuti da armi e consulenti militari americani, di un’offensiva di terra, che potrebbe essere la miccia per un incendio in tutta la regione, l’amministrazione Biden si preoccupa in modo particolare per gli americani che vivono nello Stato ebraico e nel Libano.
Anche se, rivelano diverse fonti interne dell’amministrazione al Washington Post, quello di una evacuazione di massa viene considerato il peggior scenario possibile, con altre eventualità considerate più probabili. In ogni caso, aggiungono le fonte, “sarebbe irresponsabile non avere un piano per ogni eventualità”. Ragionamenti che confermano ancora una volta come a Washington, nonostante le ripetute affermazioni pubblico di sostegno incondizionato ad Israele, cresca di ora in ora la preoccupazione per un’escalation del conflitto.
Anche per la sorte dei 600mila cittadini americani che vivono in Israele e per gli 86mila che sono residenti in Libano, dove si teme che gli scontri di confine tra Hezbollah e forze israeliane che continuano con intensità sempre maggiore possano sfociare in conflitto vero e proprio. “Questo è diventato un vero problema, l’amministrazione è molto, molto preoccupata che la cosa possa sfuggire di mano”, affermano le fonti.
La portata di una tale evacuazione, che dovrebbe coinvolgere le forze aeree e navali inviate nelle ultime settimane dagli Stati Uniti nel Mediterraneo orientale, sarebbe enorme. “Con 600mila americani in Israele ed altri americani in tutta la regione, è difficile immaginare un’operazione che possa essere paragonata per portata e complessità”, commenta Suzanne Maloney, a capo dell’ufficio politica estera della Brookings Institution.
La preoccupazione degli Usa infatti si estende a tutti i Paesi del mondo arabo dove si sono avute già manifestazioni e proteste di strada che mettono a rischio la sicurezza di cittadini, diplomatici e militari americani che si trovano nella regione. “E’ la strada che ha ora il controllo”, afferma l’analista della Brookings Institution, Bruce Riedel, usando la formula ‘arab street’ generalmente usata per indicare l’opinione pubblica nel mondo arabo, e segnalando un’importante inversione di tendenza rispetto alla questione palestinese.
“Ci è stato detto negli ultimi dieci anni che al mondo arabo e musulmano non importava più dei palestinesi e che gli accordi di Abramo ne erano la prova – ha aggiunto l’ex funzionario dell’amministrazione Clinton, riferendosi agli accordi firmati da Sudan, Marocco, Bahrain e Emirati Arabi Uniti per la normalizzazione dei rapporti con Israele – beh, la Palestina è tornata, e non credo che fosse mai andata via”.
Riguardo ai piani di evacuazione, Washington non intende discuterli pubblicamente per evitare il panico tra gli americani nella regione, ma in ogni caso nei giorni scorsi il dipartimento di Stato ha inviato un allerta a tutti gli americani all’estero esortandoli “ad una rafforzata cautela” a causa ” dell’aumento delle tensioni in alcune zone del mondo, la possibilità di attacchi terroristici, manifestazioni e azioni violente contro cittadini ed interessi americani”.
Nei giorni scorsi, poi, il Pentagono ha segnalato un aumento di attacchi contro le truppe americane nella regione, puntando il dito contro l’Iran come ispiratore e sponsor dei gruppi che usano razzi e droni per colpire le posizioni americani. E il generale Patrick Ryder, portavoce del Pentagono, ha ammesso che “una più ampia escalation” sia possibile nei prossimi giorni, e che per questo si stanno prendendo “tutte le necessarie precauzioni” per proteggere i militari americani, in particolare i 3400 soldati dispiegati in Iraq e Siria.