Per conoscere meglio il percorso di Pasquale Marino bisognerebbe partire dai suoi successi. La storia calcistica dell’allenatore di Marsala lo ha portato ad attraversare tante piazze italiane, ma la consacrazione arrivò ai tempi del Catania. Nella stagione 2005/06 portò i rossazzurri in serie A, per poi conquistare nel campionato successivo il 13esimo posto in classifica. Insieme a calciatori come Gionatha Spinesi e Ciro Polito, una delle stelle di quella squadra era Giuseppe Mascara. Il numero 10 tornò a Catania e fu rilanciato proprio da Marino, costruendo un legame rimasto ancora oggi ben saldo.
Cosa ci può raccontare del Marino allenatore?
«Ho avuto la fortuna di averlo due anni a Catania e mi ha voluto fortemente al Pescara. Secondo me è tra i pochissimi rimasti a insegnare calcio. Valorizza il materiale umano a disposizione. Sa lavorare sia con i giovani che con gli esperti. È diretto: non le manda a dire quando c’è qualche problema. Ha sempre fatto bene».
Che stile di gioco adotta di solito?
«Ha iniziato col 3-4-3, passando poi al 4-3-3. Ma in generale sa adattarsi. Nel Bari ci sono tutte le caratteristiche per fare il suo gioco».
Polito lo ha portato a Bari dopo essere rimasto fermo da due anni: può essere ancora decisivo?
«Un allenatore non si dimentica come si lavora. A volte si fanno delle scelte. Lui si è aggiornato e ha seguito l’ambiente. Potrebbe aver avuto tante offerte che però non lo soddisfavano a livello di progetto. Sicuramente non sarà stato un problema economico: non è attaccato ai soldi».
Con Marino ha vissuto la stagione più prolifica della sua carriera (14 gol). Quindi è vero che gli piace fare un calcio offensivo?
«Questo dipende da chi hai in rosa. È uno che cerca di portare più uomini a fare gol e in fase difensiva non ha paura dell’uno contro uno. È di nuova generazione, anche se ha tanti anni di carriera. Il Bari non poteva fare scelta migliore».
In cosa riuscì a esaltarla particolarmente?
«Il mister ha un rapporto speciale con gli attaccanti. Gli piace la gente tecnica, che sa giocare a calcio. Quando un allenatore ti dà fiducia, il resto viene da sé».
Lei era il 9, De Zerbi il 10. Uno destro, l’altro mancino. Fu Marino a favorire la vostra alchimia?
«Il mister aveva avuto De Zerbi e Spinesi ad Arezzo. Cercava di farci esprimere il potenziale negli ultimi venti metri. Non a caso segnammo più di 50 gol».
Tra l’altro Mezzini è andato a seguire gli allenamenti del Brighton per aggiornarsi. Un paradosso che i maestri seguano gli allievi…
«Non mi meraviglio: quando c’è gente motivata, non conta l’età. Nel calcio si sfrutta il momento e certe volte bisogna aggiornarsi con le idee».
Polito ha detto che Aramu può essere il De Zerbi del Bari. E chi potrebbe essere il suo Mascara?
«Io vedo un grande giocatore nel Bari, l’ho avuto come compagno di squadra e ho spinto per portarlo a Catania: è Peppe Sibilli. In serie B, così come in serie A, ne sono rimasti pochi del suo stampo. Non ha paura di affrontare l’uno contro uno. Peppe quando sta bene può fare la differenza».
Anche lei adesso è allenatore. C’è qualche insegnamento di Marino che prova a trasmettere alle sue squadre?
«A me piace giocare 4-3-3. Ho avuto due maestri: Zeman e Marino. Da loro ho preso le cose migliori ma ci metto un po’ di farina del mio sacco».
Di quel Catania siete diventati praticamente tutti allenatori. Solo coincidenze o forse dovete tutti qualcosa a Marino?
«La vera qualità del mister è che ci ascoltava. Voleva fermarsi a chiacchierare con noi per migliorare in campo e fuori. Questo valore ce l’hanno in pochi, spesso gli allenatori sono presuntuosi».
C’è qualcosa in particolare che ricorda di Marino?
«Il mister è un giocherellone. I ragazzi non si annoieranno mai. Se i baresi lo faranno inserire bene, si divertiranno molto».
In quel Catania era compagno di Ciro Polito. Dopo due anni da “re”, a Bari in molti hanno criticato la sua scelta di sostituire Mignani.
«Quando una squadra va così e così, devi purtroppo dare un segnale alla squadra. Il Bari deve puntare a vincere il campionato. Il direttore non è uno stupido: se ha fatto una scelta del genere, ha percepito che Mignani non potesse dare più nulla. È normale che i tifosi gli siano grati: ha fatto una rincorsa straordinaria lo scorso anno. Ora bisogna fare la differenza».