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Esselunga, Follini: “Si combatte su simboli invece che su realtà”

(Adnkronos) - "La pesca, il supermercato, la bambina, i genitori separati. Anche lo spot della Esselunga è entrato in qualche modo nella disputa politica. La presidente Meloni e alcuni dei suoi ministri l’hanno apprezzato, a sinistra s’è levato un mormorio assai più critico e dubbioso, e subito i social si sono riempiti e gonfiati dei…

(Adnkronos) – “La pesca, il supermercato, la bambina, i genitori separati. Anche lo spot della Esselunga è entrato in qualche modo nella disputa politica. La presidente Meloni e alcuni dei suoi ministri l’hanno apprezzato, a sinistra s’è levato un mormorio assai più critico e dubbioso, e subito i social si sono riempiti e gonfiati dei più vari commenti. Come a dire che intorno a quella pubblicità hanno finito per prendere posto le diverse sensibilità sulle politiche familiari degli uni, degli altri e degli altri ancora. 

Se ne possono trarre due conclusioni, agli antipodi l’una dall’altra. Si può denunciare il fatto che anziché occuparsi dei temi davvero decisivi per il nostro futuro, la politica ripiega sul futile, laddove trova più comodo esprimersi senza correre il rischio di controversie assai più faticose. Oppure ci si può compiacere che per una volta si sia deciso di prendersi una pausa dalle lacerazioni sui grandi temi che hanno diviso i fronti politici in questi primi mesi di legislatura. Questione di sensibilità, verrebbe da dire. 

Non è la prima volta, peraltro. Appena pochi mesi fa intorno al festival di Sanremo s’era accesa una disputa non meno accorata e accalorata su canzoni, conduttori, ospiti e sproloqui di tutti i tipi. Argomenti che furono affrontati con spirito assai divisivo, anche quelli. Come a dire che vi è una condanna inesorabile a litigare estremizzando i punti di vista, quale che sia la posta in palio -cruciale o magari più frivola. Quasi un destino che fa scivolare i contendenti politici verso scenari ogni volta più bellicosi. Lasciando a chi li osserva il dubbio se sia preferibile vederli litigare sui fatti di Ungheria del 1956 piuttosto che su di una pesca offerta a un padre separato. 

Ma in realtà proprio questa propensione della politica a divagare, a scegliere registri più leggeri e argomenti meno cruciali ci sta dicendo qualcosa. E cioè che i suoi dirigenti hanno ormai preso atto che la loro presa sulla storia, sul destino, sulle grandi questioni che una volta facevano la differenza si è andata progressivamente indebolendo. Un po’ perché le ideologie sono passate di moda, se così si può dire, e nessuno si dà più da fare nel tentare di immaginare su che basi debba poggiare il sistema paese. E un po’ perché molte delle decisioni più cruciali passano ormai attraverso altri circuiti. Quelli della globalizzazione, innanzitutto. Cosicché in fondo si tratta solo di scegliere un contesto -quello atlantico, quello europeo, oppure il loro opposto- e di lì in poi tutto il resto discenderà per conseguenza inesorabile. 

Lo stesso scarto che corre tra le parole d’ordine delle campagne elettorali e le politiche di governo che vi fanno seguito ci ammonisce sui caratteri della battaglia che si sta combattendo dalle nostre parti. Dove il divario tra i proclami stentorei del giorno prima e le condotte prudenti del giorno dopo fa parte ormai di una sequenza che pare destinata a ripetersi con cronometrica puntualità. 

Capita così che argomenti assai meno decisivi siano chiamati a riempire il vuoto che separa la disputa e il successivo accomodamento. Scegliendo di continuare a combattere sui simboli piuttosto che sulla realtà. E facendo finta che la realtà possa prima o poi adeguarsi all’esito di una guerra che si intraprende per allusioni. Così che perfino la pesca diventa una metafora delle politiche per la famiglia. E proseguendo oltre -molto, molto oltre- quella stessa innocente pesca può diventare addirittura il paradigma del conflitto tra due visioni del mondo. 

I leader di una volta forse non si sarebbero neppure accorti di quella campagna pubblicitaria. E di sicuro non l’avrebbero commentata. Ma avevano altri sensori a disposizione per conoscere e soppesare gli umori del paese. Quelli di oggi sembrano invece brancolare nel buio. E così, se appena si offre loro l’occasione di divagare, non se lo fanno ripetere. Cosa che non merita di destare scandalo, sia chiaro. A patto però di non prenderla troppo drammaticamente sul serio”. 

(di Marco Follini) 

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