Accoglienza è una parola che già nella sua etimologia contiene un programma di vita. Essa deriva da “accogliere”, contiene un significato molto profondo, di apertura, di inclusione. Tuttavia, senza scomodare temi così profondi e senza richiamare le parole dei grandi pensatori, oggi è sufficiente partire dalla più comune definizione consultabile nella maggior parte dei dizionari di lingua italiana ove relativamente al significato di accoglienza si legge: “L’atto di accogliere, di ricevere una persona; il modo e le parole con cui si accoglie”.
Alla luce di questo, proviamo a rispondere proprio alla domanda “come accogliamo oggi l’altro?” Come accogliamo chi proviene da quell’ “altrove” che ci sembra così lontano, ma che è invece dietro l’angolo? Cosa offriamo a chi si è salvato dal mare o dal cofano di un qualsiasi mezzo di trasporto? Cosa facciamo durante il loro lungo secondo viaggio, quello che comincia non appena mettono piede sul territorio italiano e che si concluderà dopo anni? Forse…
Una forma di autocritica è indispensabile perché ad oggi il tema dell’immigrazione continua ad essere illustrato come si trattasse di una emergenza costante. Ma così non è. Si tratta di una problematica strutturale che risiede in noi e nella nostra mala gestio della politica. L’emergenza è creata soltanto dai continui e schizofrenici mutamenti legislativi, sganciati dalla realtà di tutti quanti, disumanizzati e privi di una qualsiasi logica giuridica.
Nella stragrande maggioranza dei casi, peraltro, impraticabili. Questo crea la vera emergenza. All’indomani del naufragio di Cutro, quando sarebbe stato solo opportuno rimanere in silenzio e riflettere, riflettere e ancora riflettere, è stato invece presentato il Decreto Legge 20/2023. Decreto Legge convertito in Legge n. 50/2023 poco prima dell’inizio della stagione estiva e dei grandi bagni in quelle stesse acque piene di anime in cerca di vita. Come abbiamo affrontato l’ennesima tragedia? Comprimendo diritti fondamentali. La nuova previsione normativa incide pesantemente in materia di tutela giuridica e inclusione sociale fino ad ora offerta ai migranti, colpendo pesantemente i soggetti vulnerabili, o meglio, i più vulnerabili tra i vulnerabili. È prevista l’istituzione di nuovi centri “temporanei” dove le Prefetture avranno la possibilità di collocare i richiedenti asilo nelle more dell’individuazione di strutture ex art. 9 – Centri di Prima Accoglienza (Cpa) – e art. 11 – Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) – del D.lgs 142/2015 e che garantiranno solo l’accoglienza materiale. Sarebbe interessante comprendere, ad oggi, quanti di questi centri sono stati già istituiti e, soprattutto, quanto vi stazioneranno i migranti prima di essere trasferiti in altri centri, ove, una volta arrivati, non saranno più garantite l’assistenza psicologica e l’assistenza legale.
Pertanto, paiono lecite sia le perplessità legate all’effettivo accesso ad una informativa consapevole sull’accesso alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale (conformemente peraltro anche a quanto previsto dalla Direttiva 2013/32/Ue e dalla Direttiva 2013/33/Ue), sia le perplessità sulla effettiva individuazione di vulnerabili con esigenze particolari (psichiatriche, derivanti da traumi, legate a questioni di genere).
Queste ed altre le perplessità che meriteranno nel corso del tempo un monitoraggio costante al fine di verificare l’effettiva adeguatezza di tale intervento, che ad oggi, pare solo certamente non in armonia, con quanto previsto nei principi sanciti nella Costituzione, ma anche con le previsioni normative del quadro europeo di riferimento.