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Due ragioni per azzerare il precariato

La settimana che ci lasciamo alle spalle è come uno schiaffo in pieno volto. Da una parte le morti sul lavoro che continuano a crescere con una rapidità senza precedenti, anche a dispetto di forti prese di posizione come quella del presidente della Repubblica; dall’altra l’anno scolastico che puntualmente si apre all’insegna delle incertezze, consacrate dalle statistiche sugli insegnanti con contratti a termine. Così gli avvenimenti degli ultimi sette giorni ci restituiscono la fotografia di un Paese incapace di reagire al precariato, fenomeno che accomuna morti bianche e cattedre ballerine.

Già, proprio così. Tra le tante riflessioni scaturite dalla tragedia di Casalbordino, dove tre operai sono stati uccisi allo scoppio di una bomba in una fabbrica di recupero di esplosivi, merita particolare attenzione quella di Pierpaolo Bombardieri. In un’intervista al “Quotidiano Nazionale”, infatti, il leader della Uil ha puntato il dito contro la «logica iperliberista che considera prioritari la competitività sfrenata e il profitto a ogni costo» e l’organizzazione del lavoro basato sullo «spendere meno e fare presto, con appalti e sub-appalti al massimo ribasso».

Bombardieri accende i fari una doppia questione: non solo quella della cultura dominante, per la quale ancora troppi datori di lavoro considerano la sicurezza come un costo e non come un investimento, ma anche quella del precariato. Poche settimane fa, infatti, sono state proprio Uil ed Eures a evidenziare come, tra i precari e gli irregolari, il rischio di morte sia quattro volte superiore a quello che grava sui dipendenti a tempo indeterminato. Ecco i numeri: tra i precari 10,2 morti ogni 100mila occupati, “solo” 5,7 e 3,3 rispettivamente tra autonomi e stabili. Ciò rende ancora più urgente rispondere alla sollecitazione di Sergio Mattarella che, in un messaggio alla ministra Marina Calderone, ha chiarito come quello che si è fatto finora per proteggere i lavoratori da infortuni e morti bianche non sia abbastanza.

Poi c’è la questione del precariato. Anche qui è il caso di fare ricorso alle statistiche per chiarire l’esatta portata del fenomeno. Prendiamo la Puglia. Qui, secondo la Cgil, un quinto degli insegnanti è assunto con contratto a termine: nel Barese, su 23.644 docenti risultano precari ben 4.612, pari al 19,5%. La situazione si aggrava se si considerano gli insegnanti di sostegno che costituiscono circa il 70% del totale dei precari, con punte che sfiorano il 75. Tutto ciò significa una sola cosa: passano gli anni, cambiano i governi, ma la scuola – al pari di altri settori strategici come la sanità – continua a essere basata sulla precarietà con conseguenze spesso devastanti non solo per gli stessi lavoratori, che così hanno più di una difficoltà nell’impostare la propria vita professionale e familiare, ma anche per il servizio reso ai cittadini, esposto a incertezze di vario tipo e quindi qualitativamente inadeguato.

Messi insieme, il dramma delle morti sul lavoro e quello degli insegnanti con contratti a termine dovrebbero suggerire al governo Meloni, che si appresta a varare la manovra finanziaria per il prossimo anno, un imperativo categorico: combattere il precariato con tutti i mezzi a disposizione. Certo, le risorse sono poche e accontentare le richieste dei vari ministri, partiti e gruppi di pressione non sarà facile. Ma adesso Palazzo Chigi è chiamato a dimostrare che sicurezza e stabilità dei lavoratori sono una priorità. Due suggerimenti: un piano di incentivi, che spinga le imprese a investire in formazione e sicurezza del lavoro, e un programma di assunzioni nel settore pubblico, tale da garantire prospettiva di vita più solide ai dipendenti e servizi ai cittadini più stabili e di qualità. A meno che non ci si voglia crogiolare nella perenne emergenza, contando i morti e fingendo di compatire i precari.

Raffaele Tovino – dg Anap

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