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Santeramo, la scelta di Michelle di morire: «La consapevolezza della fine del legame con suo marito»

La decisione di Michelle Baldassarre di togliersi la vita, acclarata più o meno univocamente dai consulenti e, di conseguenza dal pm incaricato di far chiarezza sulla sua morte, sta tutta tra gennaio e febbraio. Sta nel “frangente temporale”, in cui la 56enne igienista dentale di Santeramo, dopo aver denunciato il suo ex marito e chiesto…

La decisione di Michelle Baldassarre di togliersi la vita, acclarata più o meno univocamente dai consulenti e, di conseguenza dal pm incaricato di far chiarezza sulla sua morte, sta tutta tra gennaio e febbraio. Sta nel “frangente temporale”, in cui la 56enne igienista dentale di Santeramo, dopo aver denunciato il suo ex marito e chiesto la separazione, ha preso coscienza «dell’irreversibile fine del legame con il marito, sulla cui figura aveva plasmato la propria esistenza, unitamente al senso di colpa nei confronti delle due figlie», vissute in un doloroso clima familiare.

C’è questo, ci sono le analisi del medico legale Francesco Vinci e del docente di Psicopatologia forense dell’università di Bari, Roberto Catanesi, condotte sul suo corpo e sulla sua anima, sulla personalità di una donna “docile, adattabile”. Ed è nel profilo di Michelle, in particolare, che si trovano le risposte più utili alle domande di verità. Nelle scorse ore, il sostituto procuratore Baldo Pisani, incaricato dell’inchiesta sul ritrovamento del cadavere semicarbonizzato di Michelle, il 9 febbraio nelle campagne di Santeramo ha chiesto al gip di archiviarlo quel fascicolo. Lo ha fatto dopo aver studiato le due autopsie, quella sul cadavere e quella psicologica, aver ascoltato i “testimoni” della vita di Michelle: il suo ex marito Vito Passalacqua, le due figlie Donatella e Francesca, la sorella Maria Pia, l’amica di sempre, Teresa. Un quadro che, se da una parte non lascia certezze sulle modalità del decesso (Vinci propende comunque per il suicidio), si arricchisce di pezzi dai quali emerge la vita di Michelle. Una donna remissiva, “accondiscendente”, come l’ha definita sua figlia, che tendeva ad adattarsi alle richieste che venivano da figure per lei significative, «ancor più – scrive Catanesi – rispetto a un marito descritto come persona autoritaria, o francamente prepotente, un uomo dunque ben capace di condizionarne scelte e orientamenti, finanche numero e qualità delle amicizie».

Nella ricostruzione delle ultime ore di vita i passi salienti: l’acquisto della benzina riposta in una tanica che aveva portato con sè, di quell’accendino a gas da cucina, ritrovato accanto al corpo, dei soldi lasciati a sua figlia e degli anelli a cui lei teneva tanto, ritrovati a casa. Sul suo corpo il grosso coltello, riconosciuto come uno di quelli che in famiglia usavano per tagliare i salumi.

E se Michelle si è suicidata, per il pm, non si può imputare la colpa a nessuno, né propendere per istigazione al suicidio. Perché la sua, scrive, è stata una scelta: «Paradossalmente – si legge nella richiesta di archiviazione – l’innesco di autodeterminazione al suicidio è costituito dalla decisione di denunciare il marito, in quanto ha destrutturato l’equilibrio, al cui interno la fragile personalità della defunta aveva una parvenza di stabilità».

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