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Ustica, Follini: “Prigionieri del passato, grande Paese non può convivere con dubbi”

(Adnkronos) - "Anni fa Giuliano Amato, rispondendo a un’interrogazione parlamentare su uno dei tanti (sanguinosi) misteri italiani, osservò che in questo genere di cose “le domande sono sempre più affascinanti delle risposte”. E’ probabile che quell’osservazione gli sia tornata in mente in questi giorni, ora che gli è capitato di rivolgere alla Francia domande inquietanti…

(Adnkronos) – “Anni fa Giuliano Amato, rispondendo a un’interrogazione parlamentare su uno dei tanti (sanguinosi) misteri italiani, osservò che in questo genere di cose “le domande sono sempre più affascinanti delle risposte”. E’ probabile che quell’osservazione gli sia tornata in mente in questi giorni, ora che gli è capitato di rivolgere alla Francia domande inquietanti e di trovare sul suo cammino risposte italiane non prive di qualche perplessità sulle sue ragioni nascoste”. 

“Il nostro passato è pieno di queste vicende (e di questi sospetti). Siamo stati per quasi mezzo secolo attestati lungo il confine cruciale del mondo di allora. A cavallo tra est e ovest, e poi tra nord e sud, le due frontiere lungo cui si sono combattute le grandi potenze dell’epoca. Al crocevia di tutte quelle vicissitudini abbiamo dovuto fare i conti almeno due volte. La prima, con la inevitabile limitazione della nostra sovranità nazionale. La seconda, con il carattere talvolta cruento delle dispute che si svolgevano ai bordi del Mediterraneo. In entrambi i casi, si è trattato di conti onerosi”. 

“E’ comprensibile, e anche doveroso, che su tutti i misteri che hanno accompagnato queste vicende si cerchi ora di accendere tutti i riflettori possibili. Un paese di grande civiltà democratica non può convivere troppo a lungo con i dubbi, le doppiezze, i sospetti che hanno accompagnato quella lunga e dolorosa stagione di sangue. Tanto più quando c’è il dubbio, e quasi la certezza, che quel sangue sia stato propiziato da potenze nemiche, e forse perfino -forse, appunto- da potenze alleate”. 

“Questa impresa presenta tuttavia due difficoltà in più. La prima è che stiamo aprendo dossier che risalgono ad anni e anni fa (43 nel caso di Ustica): una sorta di “cold case” geopolitico assai difficile da ricostruire. Nel frattempo, molti protagonisti sono morti, molte carte sono scomparse, molte verità sono state nascoste, molte prove sono finite chissà dove. Si continua a indagare, a cercare le tracce. Ma avvolti in una nebbia che il trascorrere del tempo ha reso ancora più fitta. Come insegnano i grandi enigmi della storia (vedi l’assassinio di Kennedy), il passare degli anni rende le cose più ingarbugliate. Se non sempre, quasi sempre”. 

“La seconda difficoltà invece è più tipicamente nostra. E riguarda la estrema complessità della nostra posizione geopolitica di quegli anni. Siamo stati europeisti e atlantici, non c’è dubbio. Ma il nostro atlantismo è stato controverso, anche da parte di quelle forze che ne facevano una bandiera. Gli Stati Uniti sono stati il nostro lord protettore, per un verso. E per un altro verso un alleato ingombrante e diffidente. Guardato a sua volta con qualche diffidenza. I francesi sono stati “cugini” e rivali al tempo stesso. E la rivalità (si pensi a Mattei e all’Algeria, e poi alla Libia) non è stata precisamente un ballo a corte. I palestinesi sono stati vissuti come una minaccia resa però meno minacciosa da una sorta di diplomazia parallela. Questa diplomazia a sua volta non è piaciuta affatto agli israeliani, che pure erano nostri alleati a tutto tondo. E così via”. 

“In altre parole la nostra diplomazia si è mossa sempre con circospezione. Quasi a confermare la natura politica del paese che siamo. La democrazia italiana infatti è stata un luogo di sfumature. E anche i conflitti che l’hanno attraversata hanno finito per riflettere, e quasi moltiplicare, quel sottile gioco di nuances che ha sempre fatto di noi un caso così particolare. Si cita sempre il caso del Sudafrica e di quella commissione per la riconciliazione che il genio politico di Nelson Mandela inventò per mettere fine ai conflitti che avevano squassato il suo paese. Ma in quel caso c’era stato appunto un cambio di regime assai netto. Si confessavano delitti che potevano venire perdonati appunto perché il potere era passato di mano, e quel passaggio era stato condiviso e fatto proprio anche da parte di quanti lo avevano perduto. Noi invece restiamo prigionieri di un passato che non passa mai perché i nostri cambiamenti avvengono sempre con qualche tortuosità supplementare. Cosa della quale possiamo perfino menare vanto, come machiavellici cultori dell’arte politica. Ma che inevitabilmente finisce sempre per reclamare in cambio quella coltre di nebulosità che troppe volte ci impedisce di vedere chiaro”. (di Marco Follini) 

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