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Cibo, “sintetico” o “non sintetico”. Questo è (il vero) problema?

Il 19 luglio, il Senato della Repubblica Italiana ha approvato il testo di un disegno di legge intitolato «Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione…

Il 19 luglio, il Senato della Repubblica Italiana ha approvato il testo di un disegno di legge intitolato «Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali».

Il testo normativo non è ancora stato approvato in via definitiva, non essendo ancora terminato il suo iter legislativo, e potrebbe quindi ancora essere soggetto a modifiche. Purtuttavia, è possibile svolgere talune considerazioni sul documento in parola.

La prospettiva dell’introduzione della “carne sintetica” sul mercato degli alimenti ha suscitato un crescente dibattito, politico e scientifico, che ha diviso l’opinione pubblica tra “sostenitori” e “detrattori” degli “alimenti sintetici”. Il campo dialettico vede il contrapporsi di differenti argomentazioni sia di carattere ideologico, sia scientifico. Sul punto, i lavori parlamentari hanno condotto all’approvazione di specifiche disposizioni “dirette ad assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini nonché a preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell’Italia, di rilevanza strategica per l’interesse nazionale”. (così si legge all’articolo 1 del testo approvato dal Senato). Appare, dunque, ovvio da che parte sia schierato, attualmente, il nostro Parlamento. Accantonando, però, qualunque argomentazione di carattere ideologico e/o scientifico, il testo suscita qualche perplessità. E, segnatamente, la lettura del disegno di legge mostra una certa distonia con il vigente sistema normativo.

In primo luogo, occorre osservare che l’articolo 2 del testo vieta di produrre e commercializzare qualcosa che, in ragione delle norme europee, è già di per sé vietato. Questo per una ragione: nel nostro ordinamento l’immissione sul mercato dei c.d. «nuovi alimenti» è disciplinata da un apposito regolamento europeo (regolamento UE 2015/2283), il quale prevede un particolare iter di approvazione. Non avviato al momento. Dunque, la disposizione, così formulata, appare priva di utilità.

In secondo luogo, laddove venisse, poi, autorizzata la produzione e commercializzazione secondo il procedimento europeo, la norma in parola risulterebbe – con molta probabilità – illegittima, poiché in contrasto con una delle libertà fondamentali garantite dall’Unione Europea: la libera di circolazione delle merci. Del pari, pure il riferimento al «patrimonio agroalimentare» risulta decisamente non coerente con le regole del mercato unico europeo. Il legislatore italiano potrebbe vietarne la circolazione solo per specifici motivi, tra i quali rientra certamente la salute pubblica, ma l’eventuale deroga dovrebbe essere supportata da adeguate risultanze scientifiche. Al netto delle considerazioni svolte e della scarsa utilità del provvedimento, si deve osservare, altresì, come l’attuale formulazione preveda l’introduzione di un divieto assoluto, senza alcuna possibilità di revisione, quandanche vi fosse una valutazione scientifica che ne evidenzi eventuali benefici (ipotesi pure proposta in sede parlamentare). Sebbene il disegno di legge ponga le basi per una più ampia riflessione di carattere tecnico e normativo su questo “possibile alimento”, circa la sicurezza e la sostenibilità di queste produzioni, il ruolo dell’innovazione e le regole della concorrenza, il nodo da sciogliere ha carattere preliminare e riguarda, ancor prima del contenuto, il lavoro del nostro Parlamento. Certamente, il precetto ripreso da Bernardino Ramazzini per cui “prevenire è di gran lunga meglio che curare” resta sempre valido, ma verrebbe da chiedersi: esattamente cosa stiamo prevenendo? E ancora: lo strumento legislativo è davvero confacente al perseguimento delle finalità espresse?

Domenico Cristallo è avvocato – Filiera21, Associazione per l’Agroalimentare

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