L’analisi dei dati può essere finalizzata a descrivere fenomeni già conosciuti oppure ad ottenere nuove informazioni. I dati, seppur oggettivi, vanno interpretati nella maniera corretta perché talvolta dietro a cifre e numeri apparentemente positivi possono celarsi tendenze negative. In base alle ultime rilevazioni del Sistema informativo Excelsior, condotte da Unioncamere in collaborazione con l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, la provincia di Lecce sarebbe quella che offrirebbe le maggiori opportunità di lavoro per i giovani. Basta però leggere attentamente i risultati dell’indagine per rendersi conto che non è tutto oro quel che luccica. Infatti emerge una forte richiesta di impiegati, operai specializzati e lavoratori non qualificati, mentre resta molto bassa la richiesta di dirigenti, professionisti specializzati e tecnici.
Serve dunque manodopera, ma non servono manager e capi d’azienda. Questo almeno secondo la ricerca di Unioncamere e Anpal.
Tale trend, dunque, non si tradurrà in un miglioramento dei livelli di benessere della nostra società. Anzi, spesso si celano situazioni di precariato e sfruttamento. Per questo risulta importante affrontare il tema della giusta retribuzione e del salario minimo. Nel nostro ordinamento, infatti, non esiste un livello minimo di paghe fissato per legge, ma l’articolo 36 della Costituzione riconosce il diritto, per il lavoratore, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Tale articolo va letto unitamente all’articolo 39 della Costituzione che attribuisce ai sindacati il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce e ciò da parte di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti. La mancata attuazione di tale ultima previsione costituzionale ha determinato due criticità: la mancata estensione nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla medesima categoria dell’efficacia dei contratti collettivi e una proliferazione degli stessi.
Sotto il primo profilo, alla mancanza di una efficacia generalizzata dei contratti collettivi ha sopperito nel corso degli anni una consolidata giurisprudenza secondo cui i minimi tabellari stabiliti nei Ccnl sono applicabili anche alle imprese e ai lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo. Vi sono, tuttavia, settori, qualifiche e mansioni che possono risultare non coperti dalla contrattazione collettiva.
Per quanto riguarda il secondo profilo, l’elevato numero di Ccnl ha dato luogo al fenomeno del cosiddetto dumping contrattuale, vale a dire l’applicazione di contratti firmati da organizzazioni datoriali e sindacali che non risultano maggiormente rappresentative e che applicano minimi tabellari più bassi.
Intanto restano in attesa di discussione diverse proposte di legge che fanno espresso riferimento alla direttiva europea 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre scorsi.
Il salario minimo può essere stabilito per legge (salario minimo legale) dalla contrattazione collettiva o dalla combinazione della fonte normativa con la contrattazione collettiva.
Attualmente, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’Unione europea: in 21 Paesi esistono salari minimi legali, mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Obiettivo della direttiva non è la definizione di un salario minimo unico per tutti gli Stati, quanto piuttosto quello di garantire l’adeguatezza delle paghe e condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori europei.
Davide Stasi – Responsabile Osservatorio Economico Aforisma
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