Una voce di danno, l’endofamiliare, è conosciuta da molti anni oramai e che segue al riconosciuto ingresso delle regole sulla responsabilità civile nel diritto di famiglia, in caso di violazione dei doveri di natura giuridica derivanti da rapporto di coniugio o di unione o genitoriale. Tanti i casi: non solo il danno subito dai figli procreati e non riconosciuti, ma anche violazioni e inadempienze dei doveri coniugali (es tradimento). Ed ancora: il totale disinteresse di un genitore nei confronti dei figli, la mancanza del sostegno morale e materiale nei loro confronti, l’allontanamento dal nucleo familiare del genitore e la creazione di una nuova famiglia, la violazione del dovere di fedeltà coniugale, l’inadempimento delle condizioni di separazione e di divorzio, l’elusione sistematica dei provvedimenti sull’affidamento dei figli minori stabiliti dal giudice, il comportamento ostile attuato dal genitore affidatario o collocatario nei confronti dell’altro genitore, comportamenti violenti, anche solo psicologici, del coniuge nei confronti dell’altro coniuge o del genitore nei confronti dei figli. Il danno endofamiliare, che per sua natura è un danno non patrimoniale, come si quantifica? Si fa ricorso a indici presuntivi e a nozioni di comune esperienza. Nel caso affrontato dal Tribunale di Trani, come è di prassi, il danno è stato liquidato equitativamente applicando analogicamente e con adeguamenti (un terzo del risarcimento liquidabile), i valori delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per la perdita del genitore.
Precisa, infatti, il Tribunale richiamato che se è “vero che il lutto da morte ha caratteristiche diverse dal colpevole abbandono dei figli, in quanto quest’ultima situazione ha ancora margini di emendabilità, il fondamento dell’illecito risiede pur sempre nella perdita del rapporto parentale. Pertanto, il criterio tabellare può rappresentare un parametro cui ancorare la liquidazione in via equitativa del danno da illecito endofamiliare”.
Ma i giudici sono sempre stati rigorosi e scettici sul riconoscimento di tale tipo di danno.
E hanno quasi sempre preteso che venisse introitato un giudizio a parte per il riconoscimento, così scoraggiando l’avvio di una nuova, difficile e costosa azione giudiziaria; inoltre, hanno vietato la domanda risarcitoria nei giudizi di separazione e divorzio con la motivazione che, pur essendo parzialmente connessi, fossero soggetti a riti processuali diversi.
Ma dal 1 marzo 2023, con l’introduzione del rito unico di famiglia, voluto dalla riforma Cartabia, la motivazione addotta non ha più ragion d’essere e con la nuova formulazione dell’art. 473 bis .49 c.p.c. si apre una nuova stagione processuale, che consente di chiedere congiuntamente alla separazione e al divorzio le c.d. domande connesse, come la domanda di risarcimento del danno endofamiliare, oltre che cumulare le domande di separazione e divorzio in un unico giudizio.
Ma i rumors, purtroppo, fra i giudici di merito non sono dei migliori. Ce la faremo? Riusciremo a aprire un varco per un più ampio e facile riconoscimento di tale diritto risarcitorio?
La sentenza in commento ci lascia ben sperare in un futuro processuale più attento a tali interessi; con l’ingresso, poi, dal 17 ottobre 2024 del nuovo “Tribunale unico per i minorenni e le famiglie” non dovremmo avere più incertezze. Gli avvocati di famiglia, difensori da sempre dei diritti c.d. fragili, non ne hanno mai avute.