Volendo compiere un bilancio generale delle elezioni amministrative pugliesi 2023 si rileva – con profonda amarezza – che a subire una pesante sconfitta non è una specifica fazione politica, quanto invece la scarsa presenza di donne candidate ad amministrare le singole città. La realtà supera le aspettative, collocando la Puglia tra le Regioni con il più basso tasso di partecipazione femminile alle recenti elezioni. I risultati consacrano come “prime cittadine” meno di dieci donne, registrando dunque un vuoto in tutte le Province.
Chi scrive non rimane particolarmente stupita dallo scenario delineato, considerate le criticità scaturite nel corso delle precedenti elezioni del 20 e 21 settembre 2020. Come noto, il Governo nazionale aveva ritenuto di dover esercitare il potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120, co. 2, Cost., dal momento che la legge elettorale pugliese (l. r. n. 2/2005), pur ammettendo la possibilità per l’elettore di esprimere una preferenza tra i candidati, non aveva recepito il principio fondamentale contenuto nell’art. 4, co. 1, lett. c-bis), n. 1), della legge n. 165/2004. In particolare, la disposizione in esame stabilisce che, al fine di promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive, si dispone che ove la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati devono essere presenti “in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima”. Nel ricorrere al potere sostitutivo – che non manca di presentare forti timori – l’Esecutivo ribadisce che la parità di genere nell’accesso alle cariche elettive non è una semplice scelta, ma una norma precettiva che deve essere attuata dai legislatori regionali, costituendo uno degli elementi-chiave che connotano la Repubblica come Stato unitario.
Giunti a tale punto, si ritiene ragionevole svolgere brevi considerazioni in relazione alla silenziosa “assenza” femminile avutasi nelle recenti elezioni amministrative pugliesi. Quel che desta maggiore perplessità non è tanto la mancata “ascesa” delle donne al vertice dei Comuni pugliesi, quanto invece la volontà dei partiti politici di affidarsi prettamente a figure maschili, intuendo un’insufficiente fiducia verso l’altro sesso ai fini della guida delle realtà comunali, che tende poi ad influenzare le valutazioni della stessa comunità. Sul versante politico, l’accentramento maschile è l’immagine inequivocabile del notevole ritardo italiano nell’affermazione di una democrazia più equa e meno ingiusta; a conferma di ciò si pone non solo una bassa collocazione dello stesso nella classifica mondiale della presenza delle donne nei parlamenti nazionali, ma anche la marcata arretratezza rispetto agli altri Paesi europei nella messa in atto di specifiche politiche tendenti alla promozione dell’integrazione femminile in politica. L’inerzia del legislatore statale, dunque, avrebbe dovuto indurre le Regioni – soprattutto quelle meridionali – a ricorrere a specifiche misure protettive o incentivanti la partecipazione delle donne nella vita politica.
La situazione appena denunciata, altresì, tende a “stridere” con i propositi dichiarati proprio di recente dalla Regione Puglia attraverso l’adozione dell’Agenda di Genere, un documento di visione strategica che propone un approccio trasversale a tutte le politiche, individuando talune aree di intervento e obiettivi prioritari. Con lo strumento in esame, le Istituzioni pugliesi intendono ridurre importanti livelli di divario di genere che investono le donne in ogni dimensione (tra cui quella politica), oltre che appiattire le disuguaglianze territoriali inaspritesi a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Il rischio percepito è quello di assistere ad un fallimento precoce del disegno strategico, piuttosto che ampliare gli spazi reali di partecipazione delle donne alla vita politica e amministrativa, sminuendo la stessa convinzione di partenza della Regione Puglia nell’adozione di tale strumento, secondo la quale una più equilibrata partecipazione di genere non può che determinare una maggiore qualità dei processi decisionali e di rappresentanza.
In via definitiva, chi scrive è nuovamente portato a sostenere che una parità effettiva potrà essere raggiunta soltanto quando il cambiamento “formale” sarà accompagnato da un processo “sostanziale”. Suonano ancora forti le parole di Teresa Mattei, pronunciate nella seduta dell’Assemblea del 18 marzo 1947, la quale egregiamente ammoniva che per giungere “a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne”, la Repubblica è chiamata a rimuovere dal cammino delle donne non solo gli ostacoli posti sulla “via solenne del diritto”, ma soprattutto quelli “creati dal costume, dalla tradizione, dalla mentalità corrente del nostro Paese”.
Dott.ssa Luana Leo
Dottoranda di ricerca in Diritto Costituzionale
Università Lum “Giuseppe Degennaro”