(Adnkronos) – “Un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza avviene tramite l’uso della Ru486 e il costo di applicazione della legge 194/1978 è stato di 59,6 milioni di euro nel solo 2020, una cifra che, se spesa diversamente, avrebbe permesso a 100.000 italiani poveri di affrontare meglio le proprie spese sanitarie”. Emerge dal II Rapporto sui costi e sugli effetti sulla salute della legge 194, presentato oggi dall’Osservatorio Permanente sull’Aborto (Opa), nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta al Senato della Repubblica, presso la Sala Caduti di Nassirya, su iniziativa della senatrice Lavinia Mennuni.
“Oggi – ha affermato la senatrice Mennuni nei suoi saluti istituzionali – la donna sta vivendo un periodo storico di estrema difficoltà e questo Rapporto, queste azioni vanno nella direzione della sua tutela costante. Pensiamo anche ad altri pericoli a cui va incontro la donna oggi come l’utero in affitto, una vera mercificazione, così come lo è del bambino. La salute della donna deve essere quindi sempre attenzionata e sono grata del lavoro che avete svolto e che oggi presentate”. Un rapporto che “rappresenta una naturale prosecuzione del primo studio presentato nel 2021 e che allora intendeva colmare rilevanti lacune informative sui dati forniti dalle relazioni ministeriali, soprattutto su quanto concerne gli oneri per la finanza pubblica in questi 45 anni di applicazione della Legge”, ha spiegato il Stefano Martinolli, dirigente sanitario dell’ospedale di Trieste e vice presidente dell’Opa.
“L’uso dell’aborto farmacologico è in preoccupante aumento e si stima che nei prossimi 5 anni circa il 50% degli aborti sarà farmacologico. Emergono infatti numerose ‘giustificazioni’ all’uso preferenziale di tale procedura: minor costo in termini di degenza ospedaliera, minore invasività, approccio più accattivante e meno traumatico. Dalla nostra ricerca tali giustificazioni risultano del tutto infondate”, ha spiegato.
“Inoltre – prosegue – i numeri sugli aborti volontari, che secondo le Relazioni ministeriali sarebbero in costante calo, non sembrano corrispondere alla narrativa ufficiale. Abbiamo infatti calcolato che, dal 2015, l’incremento esponenziale della vendita delle pillole post-coitali, giunta a mezzo milione nel 2020, in realtà corrisponde ad un numero significativo di aborti precoci che ovviamente non rientrano nei calcoli fatti dal ministero e dall’Istat. I rapporti sessuali presentano un tasso di fecondità che va dal 25, 20 e 5% a seconda della fascia di età delle donne ed appare improbabile che questi farmaci abbiano potuto agire come semplici contraccettivi, come confermato da una ricca e solida evidenza di dati scientifici. Inoltre, dal nostro Rapporto emerge come il tasso di complicanze psico-fisiche dopo l’aborto chimico sia decisamente superiore a quello dopo l’aborto chirurgico. I nuovi protocolli prevedono poi che la procedura si realizzi al di fuori delle strutture ospedaliere, spingendo ad una inevitabile privatizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza”.
Il professor Giuseppe Noia, docente di Medicina Prenatale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, direttore Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali e Postnatali S. Madre Teresa di Calcutta del Policlinico Gemelli, presidente della Fondazione “Il Cuore in una Goccia” e membro del comitato direttivo fondatore dell’Opa, ha presentato in proposito il suo lavoro: “Il dialogo nascosto”, e ha spiegato che “il dialogo che si instaura tra la madre e il figlio fin dall’istante del concepimento esprime fin da subito la sinergia e la simbiosi che si crea tra i due soggetti e sul piano biologico è la preparazione che serve non solo all’impianto in utero, ma che serve per tutta la vita. Se il colloquio di questi primi giorni viene alterato può comportare conseguenze nell’infanzia, nell’adolescenza e anche nella vita adulta. Appare sempre più evidente, anche alla luce della proposta da parte dell’Aifa di rendere gratuita la pillola estroprogestinica a scopo anticoncezionale la conseguenzialità tra contraccezione e aborto: l’aborto è usato come contraccettivo, in violazione della stessa legge 194”.
Sulle complicanze dell’aborto chimico è intervenuto Alberto Virgolino, presidente dell’Aigoc, l’Associazione italiana ginecologi e ostetrici cattolici: “L’analisi più puntuale e dettagliata delle schede di dimissione ospedaliera effettuata per la Regione Umbria e in altre tre regioni – ha spiegato – ha consentito di conoscere in modo più completo, in quantità e qualità, le complicanze dell’aborto chimico che risultano essere fino a 5 volte superiori rispetto all’aborto chirurgico. Il ricorso sempre più frequente all’aborto tramite Ru486 e prostaglandine, espone le donne a rischi anche per la loro stessa vita. Sia i dati internazionali che quelli nazionali, per quanto incompleti e sottostimati, depongono infatti per una mortalità 10-12 volte superiore rispetto all’aborto chirurgico. Si confermano inoltre tutte le altre complicanze fisiche, anche a distanza dall’aborto, sia farmacologico che chirurgico, quali il maggior rischio di successivi parti prematuri a cui conseguono maggiore mortalità perinatale, maggiore incidenza di gravi patologie neurologiche legate alla prematurità del feto”.
“Allo stesso modo – ha continuato – c’è una stretta correlazione delle Ivg con la comparsa del cancro al seno nelle donne che le hanno effettuate. Si tratta dunque di rendere finalmente le donne consapevoli delle possibili gravi conseguenze fisiche della loro scelta abortiva, specialmente nella modalità chimica. Senza poi sottovalutare l’aspetto psicologico della stessa scelta, che aggrava pesantemente la solitudine della madre”. Nel solo 2020 “il costo stimato di applicazione della legge 194 è stato pari a 59,6 milioni di euro, una cifra che avrebbe permesso a 100.000 persone povere di colmare il divario della loro spesa sanitaria privata rispetto alla media nazionale”, ha evidenziato il professor Benedetto Rocchi, docente dell’Università di Firenze e presidente dell’Opa.
“L’aumento dell’uso della pillola Ru486 fa crescere il peso delle complicazioni sul totale dei costi e l’onere finanziario delle complicazioni è rimasto negli ultimi tre anni sopra i 5,5 milioni di euro, aumentando significativamente il suo peso sul totale dei costi di applicazione della legge, fino al 9,3% registrato nel 2020 – ha continuato – I dati, inoltre, mostrano che l’incidenza delle complicazioni potrebbe essere quasi tre volte quella registrata dalle statistiche ufficiali”. Per Benedetto Rocchi, dunque, “una revisione dell’Indagine Istat alla base del sistema di sorveglianza sulla legge 194 appare non più rinviabile. Un’indagine a livello nazionale sulle complicanze sulla base del flusso di dati delle schede di dimissione ospedaliera, infatti, potrebbe orientare la revisione dell’indagine e consentire una più accurata informazione delle donne sui rischi sanitari dell’aborto”.