«Giustizia non ti negare /al desiderio degli uomini,/scendi in campo, abbi la tua vittoria!». Parole del poeta e senatore a vita Mario Luzi che a 30 anni dalla notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 restituiscono un senso di frustrazione. Firenze, Via dei Georgofili, a due passi dagli “Uffizi”, cinque vittime. Quarantuno feriti, danni al museo e a Palazzo Vecchio. “Vollero accecarti”, scrive, chiedendo alla città di illuminare il “nero cuore” dei carnefici; resterà accecata, per sempre, anche la verità storica di quei fatti, al di là della verità giuridica, inevitabilmente molto più parziale, circoscritta?
«Operazione criminale di falsa bandiera», l’ha definita la Commissione parlamentare antimafia lo scorso settembre. La falsa bandiera è una tecnica di attacco piratesca: esporre insegne non ostili per non allarmare la preda; ma, un istante prima dell’attacco, far sventolare il drappo corsaro. Nel tritolo di via dei Georgofili non c’era solo Cosa nostra, c’erano più “stendardi”. È il file rouge che lega lo stragismo italiano, mafioso o terrorista che sia, da Portella della Ginestra a Via d’Amelio, passando da via Fani.
Non ci fu trattativa, Stato-mafia dice la verità processuale: se negoziati intercorsero tra “pezzi dello Stato” e mafiosi non ebbero natura di fatti penalmente rilevanti. E forse è stato dall’inizio un errore cercare nelle aule giudiziarie le consistenze di una verità storica che richiede altri strumenti di “indagine” e ancora reclama di essere scoperta, senza l’imbragatura, delle colpe, delle condanne, delle pene. A Firenze, nella motivazione della sentenza di condanna del boss Francesco Tagliavia si legge: «Lo Stato avviò una trattativa con Cosa nostra»; «indubbiamente» ci fu una negoziazione che «venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des» per interrompere la strategia eversiva. E «l’iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia». Osservazioni, cui, sette anni più tardi, faranno eco, le recenti parole del generale Mori, «rifarei la trattativa con Ciancimino». «Emerge – conclude la motivazione – un quadro disarmante che proietta ampie zona d’ombra sull’azione dello Stato nella vicenda delle stragi». La verità della colpevolezza nel processo tollera solo la luce chiara e limpida delle prove oltre ogni ragionevole dubbio. Ciò che resta chiaroscurale in un giudizio penale deve condurre all’assoluzione. È compito della storia e della politica proseguire lo scandaglio. Della storia, per ricostruire fatti e mantenere viva la memoria. Della politica, per ricercare le responsabilità e farle valere. In questa prospettiva, “sii prudente, sii audace”, gli ultimi versi della poesia di Luzi suonano come un ammonimento ed un’esortazione, simmetrici, contro la “magistratura” che ha peccato di audacia in eccesso e difetto di prudenza, contro la politica e le altre istituzioni che all’opposto sono state esuberanti nella prudenza e troppo prudenti nell’audacia.
Giuseppe Losappio è professore ordinario di Diritto penale all’Uniba
Ha collaborato Gianluca Ruggiero, dottorando di ricerca in Diritto penale all’Uniba
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