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Difesa Messina Denaro: “Non fu il mandante stragi ’92”

(Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - Il boss mafioso Matteo Messina Denaro "non era ai vertici di Cosa nostra" del trapanese, quando fu deliberata la stagione stragista del 1992. E, quindi, "non ha partecipato alle riunioni deliberative delle stragi". Insomma, "non c'è prova" che il capomafia di Castelvetrano abbia dato "la sua adesione al piano…

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Il boss mafioso Matteo Messina Denaro “non era ai vertici di Cosa nostra” del trapanese, quando fu deliberata la stagione stragista del 1992. E, quindi, “non ha partecipato alle riunioni deliberative delle stragi”. Insomma, “non c’è prova” che il capomafia di Castelvetrano abbia dato “la sua adesione al piano stragista”. Non solo. “Non ha avuto alcun ruolo nelle stragi, non ha messo a disposizione auto, armi o esplosivo”. Lo ribadisce più volte, durante l’arringa difensiva, l’avvocata Adriana Vella, la giovane legale d’ufficio del boss mafioso, prima di chiedere l’assoluzione per Matteo Messina Denaro, che anche oggi, per la quarta volta consecutiva, ha deciso di disertare l’udienza e di non presentarsi in video collegamento con l’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. “Se devo essere sincera, avrei apprezzato che oggi Messina Denaro fosse stato presente in udienza. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti o suggerimenti sulla mia discussione? Questo è indubbio. Ma ha rinunciato, è una sua scelta che rispetto”, ha spiegato successivamente all’Adnkronos la legale, arrivata in aula con la madre che ha assistito alla discussione.  

“Signori della Corte, vi dovete chiedere quando e se e in quale luogo l’imputato Messina Denaro Matteo ha prestato il consenso, ha dato la sua adesione al piano stragista. Questa è una lacuna che non è di scarso rilievo”, ribadisce la legale, che non nasconde la sua “emozione” perché si trova a rappresentare la difesa del boss “in un processo che fa la storia d’Italia”. L’avvocata è stata nominata nella scorsa udienza, il 23 marzo, dalla Presidente della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, Maria Carmela Giannazzo, dopo che l’altro legale d’ufficio, l’avvocato Calogero Montante aveva presentato un certificato di malattia. E la volta precedente aveva rinunciato un altro legale, la nipote del boss mafioso, Lorenza Guttadauro.  

In primo grado, quando era ancora latitante, Messina Denaro era stato condannato all’ergastolo. E la Procura generale ha chiesto, al termine della requisitoria, di confermare il carcere a vita per il boss, malato di cancro, in fase avanzata. “Si deve valutare se in veste di reggente Messina Denaro abbia aderito al piano stragista”, sottolinea ancora nella discussione l’avvocata d’ufficio Adriana Vella. “Non potreste capire quanto sono emozionata – esordisce rivolgendosi alla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta -e il motivo nasce dalla consapevolezza che la designazione casuale come difensore d’ufficio mi ha dato l’opportunità di essere in un procedimento che entrerà nella storia perché parla di fatti che hanno segnato la storia del nostro paese. La designazione come difensore d’ufficio casuale fa di me l’espressione massima della tutela del diritto di difesa che lo Stato assicura a tutti”. “Oggi – annuncia fin dalle prime parole Adriana Vella – chiederò l’assoluzione dell’imputato. Chiedo che la Corte, che ha la fortuna di essere guidata da un magistrato di eccellenza, sappia giudicare con imparzialità, sappia leggere i motivi di Appello, sgombrandoli dal nome dell’imputato e sappia con la medesima imparzialità ascoltare le mie riflessioni”. 

E così l’avvocata di Messina Denaro cerca di spiegare che “non fu Messina Denaro ma Mariano Agate il reggente di Cosa Nostra Trapanese”. “La sentenza della Corte di Assise di Appello di Catania – ha spiegato la legale d’ufficio – sulla scorta delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, individua in Agate Mariano uno dei mandanti della strage di Capaci. Ed allora è evidente che se il predetto Agate Mariano era uno dei mandanti della strage, lo era o in qualità di capo provincia o di reggente della provincia di Trapani, in sostituzione del padre dell’imputato”, cioè Francesco Messina Denaro, “con la conseguenza di dovere ritenere errate le conclusioni a cui sul punto è pervenuta la Corte di Assise nel giudizio di primo grado. 

Nel corso dell’arringa difensiva, interrotta da una breve pausa, la legale spiega ancora quanto il boss boss mafioso Totò Riina fosse “critico” nei confronti del capomafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. “La veste di Matteo Messina Denaro come reggente della provincia trapanese, così come sostenuto nella sentenza di primo grado, è smentita emblematicamente anche dal contenuto delle intercettazioni effettuate nel carcere di Opera durante un colloquio tra Salvatore Riina e tale Lorusso, pregiudicato pugliese”, ha spiegato. E cita una intercettazione del boss Riina in carcere a Milano. “Nelle parole di Riina il padre dell’imputato viene individuato dal capo indiscusso dell’organizzazione quale capo mandamento e non capo provincia. ‘Ora se ci fosse suo padre buonanima, perché il padre era una brava persona, una bella persona’ dice Riina durante quel colloquio muovendo al contempo un’aspra critica nei confronti dell’imputato per le scelte strategiche fatte da quest’ultimo, ben lontane dalle logiche stragiste, ossia quello di dedicarsi ai profitti derivanti dal mercato dell’eolico”.  

E poi torna ancora sul ruolo apicale del padre del boss, Francesco Messina Denaro, che era a capo del mandamento di Castelvetrano dopo la seconda guerra di mafia dei primi anni ’80, quando con il mazarese Mariano Agate e con l’alcamese Vincenzo Milazzo fu alleato dei corleonesi contro le famiglie palermitane dei Badalamenti e quelle alcamesi dei Rimi e trapanesi dei Minore. 

Nell’ambito del processo per l’omicidio avvenuto nel 1988 di Mauro Rostagno, i pentiti Angelo Siino e Vincenzo Sinacori hanno dichiarato che l’omicidio è stato voluto da Francesco Messina Denaro, il quale avrebbe dato incarico al boss trapanese Vincenzo Virga perché provvedesse all’uccisione di Rostagno. Ricercato per più di otto anni, Messina Denaro senior è morto il 30 novembre 1998, stroncato da un infarto. Per tutta la durata della sua latitanza fu assistito dal medico Vincenzo Pandolfo, originario di Partanna, il quale si consegnò alle autorità nel 2006. Il suo cadavere venne fatto ritrovare, già vestito di tutto punto per il funerale, adagiato lungo il muro di cinta sotto un ulivo nelle campagne tra Castelvetrano e Mazara. 

“La presunta malattia del padre di Matteo Messina Denaro non gli impedì di avere un ruolo fondamentale nel momento in cui venne deliberato il piano stragista”, dice nel corso della sua arringa. “E’ da escludersi che la presunta malattia del padre dell’imputato fosse talmente invalidante – ha continuato il legale – da rendere necessaria una sostituzione o comunque impedire allo stesso non soltanto di ricevere l’informativa ma, altresì, di prestare il consenso. Fondamentali a tal riguardo sono state le dichiarazioni di Francesco Geraci, l’unico al quale l’imputato, in ragione del sentimento di sincera amicizia esistente tra i due avrebbe confidato la malattia del padre. Geraci affermò di avere accompagnato al policlinico il padre di Messina Denaro nel periodo prima delle stragi, che ‘stava male però camminava’. Ricordo inoltre – ha continuato l’avvocato Vella – la nota citazione del Brusca, il quale ha più volte affermato che la carica di capo mandamento viene mantenuta ‘vita natural durante’. Negli stessi termini il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi aveva ribadito che la carica di capo mandamento si conserva fino a quando la persona, seppur in agonia, ‘respira nel letto'”. 

Poi, durante una pausa del processo, conversando con l’Adnkronos l’avvocata Vella ha detto di essere “dispiaciuta” per non avere potuto parlare oggi con il capomafia Messina Denaro. “Se devo essere sincera, avrei apprezzato che oggi Matteo Messina Denaro fosse stato presente in udienza. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti o suggerimenti sulla mia discussione? Questo è indubbio. Ma ha rinunciato, è una sua scelta che rispetto”. Alla domanda su quanto sia stato difficile preparare questa arringa in meno di due mesi, dal giorno della sua nomina di legale d’ufficio, dice: “Sì, è stato molto difficile preparare questa discussione,
ho dovuto studiare in un mese e mezzo la sentenza e molti atti processuali, necessariamente ho dovuto anche confrontarmi con sentenze precedenti che sono state acquisite. Non dobbiamo dimenticare che in questo procedimento interessa la fase deliberativa, ovvero i momenti che hanno riguardato una fase diversa da quella esecutiva”. E ribadisce che, a suo modo di vedere, “Matteo Messina Denaro non era ai vertici della Cupola del trapanese. Non sono cose che mi sono inventata. Ma l’ho detto alla Corte facendo un riscontro anche di molti atti processuali, sicuramente non può collocarsi ai vertici in un momento importante in cui la volontà dei capi di Cosa nostra non si fosse ancora perfezionata”.  

“La mia idea è questa – dice – spero che possa essere condivisa dai giudici. Sicuramente nel momento in cui il piano assume connotazione stragista, cioè include le stragi, e i delitti contestati a Messina Denaro sono di strage, ritengo che in quel momento, ad ottobre del 1991, quando la Corte di primo grado colloca la deliberazione di questo piano stragista, in realtà non possa condividersi l’accusa perché ritengo che in quel momento il piano non aveva assunto una connotazione stragista”. 

E ribadisce di non avere “mai sentito” il suo assistito “in questi due mesi” da quando “sono stata nominata legale d’ufficio”. “Mi sono dovuta dedicare a questo processo per svolgere nel migliore dei modi il mio lavoro, a tutela del diritto di difesa che spetta a chiunque. E’ un processo impegnativo e nemmeno due mesi di preparazione sono stati pochissimi”. Ma che effetto le fa difendere un capomafia come Matteo Messina Denaro? “L’ho sempre detto, io sono difensore d’ufficio di un imputato. Per mia abitudine sgombro sempre le carte da quello che posso recepire dall’esterno, dai giornalisti. Io devo conoscere le carte processuali, non conosco le carte degli altri processi in cui è imputato”. E conclude: “Se un legale vuole fare bene il proprio ruolo – dice – deve sgombrare le carte dal nome, da ogni pregiudizio sicuramente”. La prossima udienza si terrà il 19 luglio, quando sarà emessa la sentenza d’appello. 

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